Sono irriverenti, sono colorati, si vestono con motivi animalier perché mai vorrebbero la pelle di un animale morto addosso ma, allo stesso tempo, ne adorano macchie, texture e immaginario. Sono truccati e non hanno paura di mostrare la loro attitude un po’ master un po’ slave, hanno borchie agli occhiali, tacchi alti e lenti a contatto rosse, e ballano su canzoni che hanno scolpito intere epoche a loro volta, talvolta, rivisitate, ricantate, remixate. È la TRIBÙ di Barbara Bologna, artista e designer italiana alla sua seconda prova durante la Milano Fashion Week, che ieri sera ci ha regalato uno spettacolo ipnotico, ironico, e anche un po’ danzereccio, al Teatro Arsenale di via Cesare Correnti.
Per accendere questa Milano Fashion Week, dopo la performance di settembre, Barbara Bologna, il cui brand porta il suo nome ed è tutto Made in Italy, ha pensato appunto a otto mood, otto differenti armature non per isolarsi dal mondo ma per entrare in contatto con esso, dal suo piano più profondo, quello dell’incontro con l’altro da me, sotto il segno dell’amore libero e multiplo, e dello scambio dei pensieri più profondi.
«Una tribù di persone lussureggianti come piante, fiori e frutti, perché cresciuti nella fertile terra degli immaginari, bagnata dalle acque di molteplici fonti di giovinezza post-internet, che conservano le caratteristiche di quelle antiche: purificatrici, benefiche, catartiche, capaci di resuscitare dalle morti», si legge nello statement del progetto.
Una tribù che va oltre il concetto di genere, che si muove sulle onde di una ridefinizione continua del proprio essere, dove il vestito – per fortuna – non è più un peccato da appianare con le linee dell’austerità ma un campo da riempire rielaborando le proprie passioni e inclinazioni che vivono su sete stampate, cotoni rilavati, tulle plissettati, lane, denim dilavati e flanelle.
Consegnata al pubblico una tuta da lavoro bianca da indossare, innesco ideale per una serie di selfie nello spazio austero e buio del Teatro Arsenale, è una colonna sonora travolgente che fa da preludio alla sfilata e che poi ha accompagnato l’uscita dei modelli e delle modelle reclutati attraverso un casting internazionale e selezionati anche in base una conversazione reale con l’artista, nella volontà di «far risuonare la loro visione del mondo all’interno della collezione».
E così passano Suavemente di Elvis Crespo, ballata puramente latina; una violenta rivistazione di Lollipop e, tra gli altri, si arriva al vero manifesto sonoro di questa collezione: Freed from desire di Gala, canzone lanciata nel 1996 che ancora oggi è in grado di risvegliare anche le anime più intorpidite dal conformismo. My love has got no money, he’s got his strong beliefs/ My love has got no power, he’s got his strong beliefs/ My love has got no fame, he’s got his strong beliefs…Il mio cuore non ha soldi, potere né fama, ma ha le sue forti convinzioni. E lo abbiamo visto forte e chiaro, ma prima di alzarsi e muoversi un po’, arrivano sul pubblico una serie di schizzi lanciati da pistole ad acqua…lo sberleffo della tribù colorata verso quella irregimentata in tuta bianca!
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