Giulio Paolini da Alfonso Artiaco, vista della mostra Fuori Quadro
Giulio Paolini ritorna alla galleria Alfonso Artiaco per la quinta volta con una personale composta da otto lavori, di cui quattro inediti, e nuovi collage. “Fuori quadro” è il titolo della mostra, e discorre sulla presenza fisica della storia dell’arte tramite la sua funzione “mimetica”. Non un citazionismo autoreferenziale ma un’evidente frammentazione persistente della memoria figurativa, ancora presente e viva nell’attuale visione contemporanea.
Ecco che il dislocarsi delle opere svela un percorso analitico sull’esistenza costante dell’immagine e della sua funzione metafisica, che trascende il reale depauperamento temporale, la corrosione esistenziale, e resta viva come fonte mnemonica, come struttura reggente della costruzione passata. Allora riaffiorano visioni ricostruite dalle elaborazioni di artisti come Jean Antoine Watteau, Edouard Manet e Giorgio de Chirico, oppure collegamenti antichi con la scultura di Policleto e l’eterna Pompei, o ancora il nesso imprescindibile della cultura cristiano occidentale con i miti greci di Icaro e Antiope.
Proprio il collage La caduta di Icaro apre la mostra, a testimoniare la ripetizione degli accadimenti che non si sottraggono agli avvenimenti momentanei ma perseverano nel ripetersi, sottraendosi all’imminenza e rafforzandosi nella durabilità. «Una falsa partenza finisce col ripetersi sempre da capo, senza intravedere la speranza dell’arrivo. Tutto è posto al di là di una soglia, visibile, seppure invalicabile», precisa Paolini. Dicevamo, infatti, della mancata duplicazione figurale, delle citazioni che non sono vincolate o ampiamente manifeste, dell’inesistente affermazione formale di una inutile ripetizione contenutistica.
La visione di Paolini si sottrae alle dinamiche meccaniche, conservative. Riaffiora in una genesi ampliata dalla necessità di rimodulare i profili conoscitivi dell’arte. Rafforzando la costruzione culturale dell’immagine come patrimonio sociale, come nesso imprescindibile tra l’uomo e il suo passato, come perseguimento del suo futuro. Non è artefatta allusione a ciò che è stato ma futuristica visione di ciò che è. È il luogo del presente che ricalca orme solcate che divengono più ampie, diverse dalla propria origine, nuove forme di continuità nello spazio e nonostante il tempo.
In fin dei conti, come sostiene Italo Calvino, è «L’idea di un passato che contiene nei suoi testi tutta la poesia a venire – la biblioteca di Babele o il Corano – e tutte le immagini, non basta a sancire la possibilità di una ripetizione mentre, insegna ancora Borges, basta un solo termine ripetuto per scompigliare e confondere la serie del tempo».
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