Carla Accardi, I segni dell'anima #2. Installation view, Galleria Lombardi, Roma
Antonio Sanfilippo e Carla Accardi: l’avventura di entrambi nel “segno” è, infatti, uno degli episodi artistici più significativi dell’arte italiana della seconda metà del Novecento. Oggi la loro opera è contemplata con la consapevolezza che i vertici raggiunti dalla coppia restano un caso unico e irripetibile: «Noi siamo diversi perché al di sopra di tutte le cose che si vivono materialmente collochiamo la nostra arte sublime», scriveva Sanfilippo alla moglie.
Come quella a Sanfilippo (ve l’avevamo raccontata qui), anche la mostra ad Accardi alla Galleria Lombardi intende rendere omaggio a un’arte che rimane sublime oltre il tempo, recuperando i riferimenti storico-artistici legati a Sanfilippo che contestualizzano meglio e più compiutamente la potente poesia astratta delle invenzioni accardiane, evidenziando influenze e differenze di un’avventura nel segno mossa da reciproci rispecchiamenti. In questo secondo capitolo, curato da Lorenzo e Enrico Lombardi e che prende forma da una selezione di 35 opere dagli anni ’50 del ‘900 ai primi anni 2000, dipinti e disegni invitano a scoprire come il segno, per Carla Accardi, sia diventato una forma di respiro, pensiero e vita stessa. «Nulla dies sine linea”, ricorda Guglielmo Gigliotti nel suo testo critico – citando Apelle, secondo Plinio il Vecchio – per restituire quella filosofia, ovvero nessun giorno senza tracciare linee, che Accardi ha vissuto pienamente, riconoscendo nella linea una metafora della vita stessa, capace di infinite possibilità di sviluppo.
Attaverso opere emblematiche come Blu-verde (1964), Segni grigi (1972) e Rossoargento (2001) – titoli evocativi dello spirito e dei modi di concepire il segno strutturante e la dimensione cromatica, accesa da contrasti e dissonanze – l’arte di Carla Accardi è un enigma cristallino, un segno che per oltre 65 anni ha raccontato storie, emozioni e visioni in una continua ricerca dell’impulso vitale che attraversa il mondo. Con le sue opere – su tela, carta e sicofoil – l’artista ha eretto un monumento alla forma primordiale del segno, trasformandolo in un linguaggio senza tempo, pulsante di vita. «Quei grafemi, quella linea che torna su sé stessa in onde e volute, a tracciare arabeschi e labirinti, come a intercettare la struttura segreta delle cose, la trama invisibile della materia, la ragnatela dell’universo o le ramificazioni dell’inconscio, sono la confessione che solo la poesia può sconfiggere il dolore, e che la linea, se lasciata libera di danzare, sogna anche per noi. (…) In principio fu il segno, e quel principio non si esaurì mai. Le opere in mostra, tra dipinti e disegni, manifestano proprio ciò. Freschezza, immediatezza, gioco della sperimentazione, all’insegna di una sintesi di libertà e necessità», scrive Guglielmo Gigliotti nel catalogo a cui lavora anche Giorgia Di Laura.
Riunite sotto il titolo I segni dell’anima, la mostra arricchisce la narrazione dell’astrattismo italiano del Novecento, conferendo all’opera complessiva della coppia d’arte e di vita (dal fidanzamento nel 1944 alla separazione nel 1964) Accardi – Sanfilippo un valore, per citare le parole dello stesso Sanfilippo, «sublime».
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