Marcello Morandini. Geometrie senza Tempo, 2025. Credits Studio Abbruzzese. Courtesy Mazzoleni, London - Torino
L’universo binario di Marcello Morandini (Mantova, 1940) trasforma lo spazio espositivo della galleria Mazzoleni in un tempio della geometria. Rigore, precisione e ordine sono le componenti di un lavoro minuzioso, minimale, che lascia trapelare l’amore e lo studio per la bellezza della forma attraverso l’uso assoluto del bianco e del nero. «Il bianco è sufficiente con una piccola macchia nera, qui inizia la progettazione» afferma Morandini, ed è proprio così che inizia la sua carriera artistica nel 1964. I suoi primi lavori tridimensionali, in mostra a Genova l’anno dopo con la curatela di Germano Celant, sono preliminari studi di percezione e movimento delle forme all’interno nello spazio.
Il maestro della geometria concreta utilizza diversi materiali che lo hanno seguito nel corso degli anni, come carta, plexiglass, metallo, marmo e granito. Il suo materiale prediletto è il legno, il più caldo, e con il supporto di esperti artigiani modellisti, dà vita alla sua affascinante visione espansa della matematica in un dualismo neutrale in cui l’eccellenza regna sovrana.
Nell’equilibro del maestro, la perfezione è artigianale e originale, le sue figure sono progettate attraverso l’esclusivo uso del tecnigrafo. La mattina si siede al suo tavolo da disegno e con matita e nastro adesivo dà vita alle sue «palpitazioni di desideri», così le ha definite, nate da viaggi, incontri e nuove informazioni.
«L’arte è conoscenza, il design è funzione e l’architettura è habitat» afferma Morandini. Sculture, prototipi, quadri e oggetti di design raccontano sessant’anni di carriera dell’artista e designer italiano, divenendo parte di un mondo trasversale in cui tre ambiti differenti, seppur coerenti, dialogano armoniosamente nelle sette sale della galleria. Il lavoro di Marcello Morandini si rivela come un processo teoricamente infinito, così come lo è la scienza della matematica. Le sue forme geometriche, esteticamente ineccepibili, sembrano raccontare l’universo all’interno di uno spazio senza tempo.
Tensioni, vibrazioni, espansioni danno vita ai suoi progetti, che si tratti di opere d’arte o di oggetti di design. Alcuni prototipi architettonici, si proiettano in un prossimo futuro, divenendo plausibili soluzioni per le città di un domani. Altri oggetti diventano iconici, come la sua Panca posseduta (2009).
Insieme alle Geometrie senza tempo di Morandini, Mazzoleni propone anche Il fascino del mito, progetto progetto espositivo ispirato ispirato dal successo londinese della mostra Mythology Reinterpreted, che mette in dialogo alcune reinterpretazioni a tema mitologico di Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Giulio Paolini, Salvo e Jorge Méndez Blake.
Defend it incide con la grafite Jorge Méndez Blake (Guadalajara, Mexico. 1974) sulle rovine di un’antica colonna greca ritratta così realisticamente da sembrare una fotografia. Un elogio alla difesa della cultura, della storia e della memoria che entra in liaison con i messaggi evocativi cesellati nel marmo da Salvo (1947-2015) e al suo Capriccio (1999), in cui dipinte con colori caldi e in un’atmosfera senza tempo, le colonne sono all’apice del loro splendore.
Due calchi in gesso interi e uno in frantumi compongono l’opera L’altra figura (1983) di Giulio Paolini, simboleggiando la bellezza e la fragilità dell’arte. Le teste neoclassiche di Paolini sono eleganti e auliche ma allo stesso tempo sono delle copie, la loro natura rappresenta la possibilità di una riproducibilità infinita, di una clonazione identica che tenta invano di mantenere l’essenza della scultura originale.
In Trofeo con la testa di Giove (1929-1930) di Giorgio De Chirico (1888-1978), la testa del Re dell’Olimpo è ritratta al centro della composizione, sormontata da un’architettura di elementi di varia natura. All’interno del gioco visivo metafisico, le parti della costruzione diventano come mattoni nell’edificazione del credo divino, simboleggiando il potere e la sapienza di Giove. Accanto, come se si trattasse di un dittico mitologico, la tela Jeux d’Anges (1930) di Alberto Savinio (1891-1952) rappresenta una trascendentale danza di angeli dalle ali variopinte, in un contesto tropicale sospeso nel tempo. I due pittori si mettono a confronto e allo stesso tempo contrappongono due distinte visione mitologiche.
In mostra alcuni reperti archeologici dialogano con le opere d’arte moderna, creando un ponte tra passato e presente in un esercizio virtuoso di confronto della storia dell’arte, annientando la convenzioni cronologiche. Il fascino del mito celebra l’armonia e l’equilibrio dell’unione tra mitologia e arte, un rapporto che per millenni ha dato vita alle più belle testimonianze della creatività umana.
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