Yto Barrada, A Day is Not A Day, 2022. 2-channel film installation 16mm film, color, sound; 18 min. Film still
Il lavoro di Yto Barrada (nata a Parigi nel 1971, viva e lavora tra Tangeri e New York) si muove su piĂš piani, ricorrendo a diversi medium espressivi che vanno dai tessuti colorati con pigmenti naturali, alle installazioni, film, sculture e collages.
La mostra alla Fondazione Merz sâintitola Deadhead ed è curata da Davide Quadrio, giĂ direttore del Museo dâArte Orientale di Torino, con Giulia Turconi. La mostra si compone di molte diverse opere dellâartista, tra lavori che testimoniano il percorso della propria personale ricerca negli ultimi anni, ed altri realizzati per lâoccasione. In particolare, alcune delle opere esposte provengono da un precedente evento che ebbe luogo lo scorso anno proprio al MAO di Torino.
âDeadheadâ è un termine dâuso in ambito botanico e indica lâatto di togliere da una pianta i fiori ormai appassiti, in modo da ridarle lâenergia necessaria per creare nuovi boccioli e tornare a crescere.
Dal punto di vista concettuale, il riferimento è da interpretarsi come un invito a cogliere lâessenziale, lasciando dietro di sĂŠ sia gli elementi che non sono piĂš in grado di fornire la giusta linfa vitale al nostro personale percorso, quanto quelli che non sono necessari tanto alla visione creativa e alla giusta considerazione del mondo che ci circonda. Questa operazione, proprio come quella che si compie sulle piante, è volta a liberare le energie che sono utili a dare luogo e spazio a una nuova e ricca energia fiorile.
Dal punto di vista delle teorie artistiche e sul colore, lâispirazione è invece, almeno in alcuni dei lavori in mostra, da riferirsi allâopera dellâartista americana Emily Noyes Vanderpoel (1842 â 1939), che, attraverso accurati studi sul tema, traduceva le immagini in griglie geometriche di colore, dando vita a una sorta di ordinata e armonica âmusica della luceâ.
Lâinfluenza di Vanderpoel è ben presente in Barrada, soprattutto nei lavori tessili, realizzati con pigmenti naturali, come, tra le opere in mostra, le serie Hourglass (2023) e After Stella (2018-2019). Nellâultimo caso il rimando è esplicitamente rivolto anche al lavoro di Frank Stella, altro punto di riferimento artistico dellâautrice. In alcuni casi, in questi lavori, è anche possibile cogliere un riferimento, forse non dichiarato o consapevole, a certe opere di Boetti.
In mostra sono però presenti anche molti altri lavori realizzati ricorrendo a tecniche diverse. Oltre ai lavori tessili e alle installazioni, il percorso espositivo si compone, infatti, anche di molte altre opere, di dimensioni diverse, che vanno dal film al collage, alla ripetizione di proverbi scritti che assumono una portata simbolica.
Tra questi ci sono le due installazioni di grandi dimensioni che occupano la prima e la seconda sala della Fondazione e che costituiscono un poâ il focus dellâintera esposizione.
La prima installazione/scultura che si incontra lungo il percorso espositivo sâintitola Lis- ras- dâeau (2023). Un letto di ferro battuto, di quelli di una volta, è montato con corde da marinaio su alcuni bidoni vuoti, come fosse una zattera. GiĂ presentata alla Biennale del QuĂŠbec nel 2023, lâopera possiede una profonda densitĂ poetica, evocando insieme lâidea del naufragio e delle peripezie affrontate dai migranti nel corso dei loro viaggi alla ricerca di una vita migliore, ma anche, su un piano metaforico, la dimensione onirica e privatissima del sonno. Insieme riflessione politica e denuncia sociale, lâopera non rinuncia, cosĂŹ, a una profonditĂ simbolica, acquisendo una prospettiva poetica al contempo elegante ed efficace.
La seconda installazione è invece una struttura creata mettendo insieme, impilate lâuna sullâaltra, alcune trappole per granchi fino a creare una costruzione simile a un muro o a una sorta di piramide. Lâopera sâintitola The Wall of Tanger Island, è del 2022 e sâispira a un fatto realmente accaduto. Da qualche anno una piccola isola della Virginia, negli Stati Uniti, la cui economia si fonda principalmente sulla pesca, rischia di sprofondare lentamente sotto il livello del mare a causa dei cambiamenti climatici.
Qui, sulla baia di Chesapeake, nel disperato tentativo di arginare il danno e insieme come manifestazione del proprio disagio, la popolazione dellâisola ha costruito una sorta di muro fatto di nasse, appunto le trappole per granchi, accatastate lâuna sullâaltra. Yto Barrada si è ispirata a questa storia, trasformandola in una scultura dove sâintessono anche altri riferimenti, legati alla propria esperienza personale a Tangeri, in Marocco, dove lâartista ha creato Mothership, una realtĂ che lavora sulle esperienze creative e artistiche mescolando giardinaggio, colorazioni tessili e altre sperimentazioni, coinvolgendo attivamente la popolazione.
Nel suo complesso, la mostra alla Fondazione Merz presenta, cosĂŹ, un percorso espositivo articolato, fatto di numerosi lavori molto eleganti e insieme profondi. Sono opere da cogliere nei dettagli e da leggere con attenzione, per non perdere i riferimenti poetici e simbolici nel loro intrecciarsi con aspetti storici, geografici e soprattutto di denuncia politica e sociale.
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