Forse non si può pensare di risolvere un problema attraverso l’arte ma, almeno, attraverso di essa lo si può rappresentare. Provando, magari, a scuotere le coscienze, e fare in modo che le persone possano contribuire a fare qualcosa di concreto per la causa. Ed è quello che prova a fare la mostra NATURA/UTOPIA: l’arte tra ecologia, riuso e futuro, organizzata da Fondazione Perugia e ospitata da Palazzo Baldeschi, nel cuore della città umbra. Attraverso le opere di 13 artisti provenienti da tutto il mondo, il progetto vuole proporre un percorso sui temi legati alla natura e all’ecologia interpretati dalla lente dell’arte contemporanea. Ispirandosi chiaramente al racconto dell’umanista inglese Thomas More e alla sua leggendaria repubblica di Utopia, immaginata nel XVI secolo, raccontando di una terra connessa al reale ma anche indipendente: non un miraggio ma un mondo possibile. Allo stesso modo l’arte contemporanea è oggi una sorta di isola felice, dove tutto è sostenibile perché aumenta la ricchezza del mondo, sia a livello di forme che di pensiero.
Il ruolo dell’arte, dunque, non è quello di risolvere i problemi ma di rappresentarli a proprio modo, re-immaginandoli in un ambito specifico, dove tutto è possibile, secondo le regole del linguaggio delle forme, del pensiero estetico, del concetto della creatività artistica. Così nella mostra perugina l’arte serve a far riflettere su questioni legate all’ecologia, al rapporto tra uomo e natura, alla sostenibilità, al riuso dei materiali, alla ri-progettazione dello spazio di vita degli esseri umani in rapporto all’ambiente naturale. Per farlo sono stati scelti 13 artisti protagonisti della scena culturale italiana ed europea, statunitense e provenienti da contesti extraeuropei, come il Camerun e il Mozambico, artisti che hanno fatto del concetto di utopia, riuso, progetto e natura la loro poetica di base fin dagli anni ‘60, ognuno con le proprie caratteristiche specifiche, come dimostrano le opere scelte per il percorso espositivo, realizzate con materiali tradizionali ma anche inaspettati e innovativi.
Ed è qui che si incontrano autori ormai storicizzati come Gianfranco Baruchello, che tra gli anni ’70 e ’80 con la creazione di Agricola Cornelia S.p.A. aveva lavorato la terra come fosse un’opera d’arte, Ugo la Pietra, che ha da sempre usato l’architettura per riflettere sulle contraddizioni e le relazioni tra natura e città, e Piero Gilardi, che ha fatto dell’ecologia uno dei temi portanti del proprio lavoro e che con i suoi tappeti natura ha trasformato in quadri delle sezioni di natura stessa. Giuseppe Penone è uno dei più importanti artisti italiani dagli anni ’60 a oggi, che ha da sempre lavorato sulla e attorno alla natura e in mostra è rappresentato da Struttura del tempo, dove il bronzo della struttura testimonia il profondo legame che esiste tra la fusione e la crescita vegetale.
Anche Davide Benati e Nicola Toffolini utilizzano media tradizionali per i loro studi, uno prediligendo la pittura che sublima le iconografie della natura, l’altro il disegno con cui realizza paesaggi di mondi utopici dove tutto sembra riportarci a una condizione futuribile. Paolo Canevari ha fatto del riuso dei materiali un tratto distintivo del suo lavoro come testimoniato dalla serie in mostra, Black Pages, dove antiche cornici dorate custodiscono come reliquie fogli di giornale ricoperti di olio di motore combusto. Loris Cecchini indaga tematiche legate all’ambiente inteso come spazio di (ri)adattamento tra bisogni umani e nuovi materiali creando sculture con materiali insoliti dove emerge la sperimentazione tecnica nella realizzazione, mentre Giuliana Cunéaz crea ambienti di grande coinvolgimento attraverso l’uso di opere digitali e interattive con videoproiezioni e screen paintings, modellazione 3D e Intelligenza Artificiale.
Il continente africano è presente in mostra con le opere di Gonçalo Mabunda, artista del Mozambico, le cui maschere realizzate con proiettili, granate, fucili, bossoli come materiali di riuso da una parte evocano feticci, totem e copricapi rituali, dall’altra sembrano caricature di volti antropomorfi e meccanizzati che richiamano la sanguinosa guerra civile che devastò il suo Paese. Originario del Camerun è Pascale Marthine Tayou che crea installazioni ambientali utilizzando buste di plastica colorate, non riciclate ma nuove, come se il loro consumo e degrado fosse stato evitato e congelato in opera d’arte.
Kaarina Kaikkonen è la più importante e riconosciuta artista finlandese contemporanea e lavora esclusivamente con abiti di riuso e di recupero, in prevalenza camicie maschili: opere che sono una riproduzione virtuale di corpi assenti, abiti vuoti che conservano la memoria del corpo che li ha indossati portando su di loro ancora le storie e i vissuti di persone che probabilmente non ci sono più. Infine, peter campus, pioniere della video arte, espone due video in mostra. La sua ricerca con il paesaggio perdura da 50 anni e le due opere video derivano dalla sua esperienza di immersione nella natura, rappresentando la sua riflessione sulla bellezza e il caos del mondo contemporaneo.
Riuso, utopia, progetto, natura e futuro sono le parole attorno a cui ruota la ricerca di tutti questi artisti, in momenti storici e luoghi del mondo diversi, ma accomunati da una lettura ecosofica ed ecoestetica del mondo.
Nel percorso espositivo viene dedicato un uno spazio anche al celebre film considerato dalla critica un vero e proprio manifesto ecologista: Il pianeta azzurro, del regista Franco Piavoli, premiato al Festival Internazionale del Cinema di Venezia nel 1982 e definito dal grande regista russo Andrej Tarkovskij un «Poema, viaggio, concerto sulla natura, l’universo, la vita. Un’immagine diversa da quella sempre vista. Vero e proprio anti-Disney». L’opera video, della durata totale di 1 ora e 20 minuti, che in mostra si potrà fruire anche in una sintesi di cinque minuti, è un poema in immagini dedicato alla vita, al nostro ecosistema, al pianeta terra, nostro unico e fragile habitat naturale. Si apre con una citazione dal De Rerum Natura di Lucrezio, e racconta, pur senza uso di parole e trama, il ciclo della natura che si intreccia con quello umano, in un susseguirsi di immagini e suoni ripresi dal vivo e di grande suggestione poetica, bellezza e malinconia.
«La mostra, lontana dal voler testimoniare contenuti ideologici, esprime la necessità di render centrale l’opera e la poetica degli artisti prima ancora che le ricadute a livello sociale e politico, pur avendo tutte le opere esposte relazioni con contesti storici attuali se non addirittura legati a ciò che potrebbe riservarci il futuro, con le sue incertezze e inquietudini, promesse e opportunità», come spiega il curatore Marco Tonelli. «L’unica risposta possibile alle ansie della nostra epoca è l’opera d’arte non come soluzione o risarcimento, ma pratica autonoma immaginifica, separata ma non indifferente dal reale, proprio come l’isola di Utopia, un paradiso utopico distaccato dal resto del mondo ma allo stesso tempo una proiezione di ciò che esso potrebbe essere».
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