Pierluigi Fresia, BIRDS*, 2023/24. 124x194cm, Stampa a colori su carta Hahnemühle Fine Art
Il titolo della mostra di Pierluigi Fresia, L’impotenza celeste dei pianeti, è una frase di Marcel Proust, scelta dall’artista perché avvertita come estremamente coerente appunto con il concetto esistenziale che sta dietro alla progettazione dei lavori esposti, ossia un essere non tanto in sé stessi quanto più grazie all’apporto di ciò che illumina, rende nuovi, veri. Come spiega il curatore Pietro Gaglianò, «In mostra si trovano fotografie le cui campiture quasi astratte si combinano in una spirale con i testi: frasi aforistiche, riferimenti letterari e componimenti brevi come haiku, sovrapposti alle immagini di paesaggi naturali, nature morte e ambienti intimi. Nello spazio sottostante della galleria si trovano le fotografie delle lavagne su cui l’artista ha tracciato i suoi segni».
Una sezione della mostra è inoltre dedicata a disegni realizzati su una lavagna di ardesia e successivamente fotografati che ben chiariscono la ricerca, lo studio e la sintesi precedenti al lavoro dell’artista trasmettendo con “tiepida tattilità” – secondo le parole del curatore – la provvisorietà dello schizzo sulla lavagna, il tempo lasciato alla revisione, alla cancellatura e alla tensione mentale verso la realizzazione perfetta di un’idea, in cui l’oscurità dell’ardesia riconnette non solo al vuoto cosmico, ma anche allo spazio mentale nel quale le idee prendono corpo, appaiono, cambiano e si trasformano.
Al riguardo dei propri lavori spiega l’artista Pierluigi Fresia: «Le mie opere partono da una rilfessione su me stesso e sull’esistenza, cioè sul rapporto che ho e che abbiamo con il tempo e con l’essere nel tempo e da questo tipo di considerazione, osservando i miei lavori, possono nascere pensieri anche di tipo spirituale. Il mio in effetti è un lavoro che per la maggior parte scaturisce da problematiche esistenziali, ossia quelle domande che si pone qualunque persona: ‘Perché sono qui?’, ‘Qual è il mio rapporto con gli altri?’, ‘Qual è il mio ruolo nel flusso della vita con le altre persone?’. Il titolo della mostra non a caso è una frase di Proust riferita alla madre che, secondo lui, viveva della luce riflessa dalle persone che conosceva. Nei miei lavori ogni pianeta rappresenta noi stessi che viviamo in relazione a quanto gli altri dicono di noi, raccontano di noi e quanto noi pensiamo degli altri. Quindi la domanda fondamentale è dove si trovi il centro della conoscenza: siamo noi che creiamo conoscenza oppure è una conoscenza che è mediata e traslata dalle varie conoscenze che ci pervengono e dalle informazioni che riceviamo? Il fatto che non ci siano punti fissi, fulcri ben determinati su cui la vita è bilanciata, trasmette, più che un’idea di disperazione, un grande senso di libertà in quel vuoto che permette a questa vita di diventare effettivamente unica. Siamo tutti corpi celesti, persi in un universo sì, ma le luci che ci raggiungono dagli altri astri, e ci colpiscono, ci fanno percepire di essere anche noi qualcosa, perché noi siamo comunque eternamente sulla cresta dell’onda del tempo, sempre in cima a una salita e davanti a un precipizio, ma l’essere dei surfisti folli sulla cresta dell’onda del tempo ci regala anche un’ebbrezza immensa, dettata dalla spinta che ci dà la nostra condizione e dalla paura di precipitare».
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