Tomaso Binga, Dattilocodice, 1978
Immagine e segno: è lunga la storia degli spostamenti tra questi codici, complesso, stratificato e denso di snodi il percorso che ha portato allo sviluppo di interferenze tra linguaggi, visivi e verbali, tra parole e simboli. Alla Fondazione Mudima di Milano, sarà visitabile fino all’1 giugno 2023 “L’eredità dello scambio. Segno, parola, immagine”, mostra dedicata proprio a questo intenso dialogo, raccontato attraverso le opere di alcuni degli autori più impegnati in tal senso, come Nanni Balestrini, Mirella Bentivoglio, Tomaso Binga, Ugo Carrega, Luciano Caruso, Giuseppe Chiari, Betty Danon, Ketty La Rocca, Lucia Marcucci, Magdalo Mussio, Luciano Ori, Stephanie Oursler, Lamberto Pignotti, Berty Skuber. A cura di Giacomo Zaza, l’esposizione ripercorre le tracce di quel gruppo di artisti e poeti che, dagli anni ’50 in poi, fece del linguaggio elemento chiave della propria ricerca, sia dal punto di vista del significante che da quello del significato.
«Testo letterario e testo figurativo si pongono naturalmente come due formazioni parallele, indipendentemente dal fatto che insistano o no su uno stesso genotipo o per dirlo in modo meno formale ma più corrente, sullo stesso contenuto», scriveva Cesare Brandi, a proposito dell’Orlando Furioso, analizzato come testo e come illustrazione.
«Quello entro cui lavora ognuno degli artisti in mostra è un ambito di confine, in cui la parola assume un ruolo centrale», spiegano dalla Fondazione nata per volontà di Gino Di Maggio nel 1989 e istituita per realizzare un programma dedicato alle esperienze internazionali nel settore dell’arte visiva, della musica e della letteratura contemporanea. «La PAROLA non ha solo un valore etico, legato al significato e al messaggio che esso trasferisce, ma ha anche un valore estetico legato all’aspetto, alla sua forma, al contesto entro il quale si colloca. Essa si dispiega sulla superficie come graphè e phonè, linguaggio e voce, dichiarando la natura ibrida e “meta – orfica” del segno. A volte entra in simbiosi con un’immagine “iconica” (tratta dai media) per produrre nuovi rapporti e discorsi. Un processo di intersezione dai risvolti decisamente performativi».
L’idea della mostra insiste allora su opere che possono essere valutate sul piano dell’espressione e sul piano del contenuto. Gli artisti e le artiste presenti sono spesso anche poeti e poetesse e in questo senso i confini linguistici scompaiono o quantomeno si assottigliano ulteriormente in favore di nuovi territori. «La parola rimane tale o diventa segno, ma continua a farsi portatrice di significati e di visioni (immagini che a loro volta sono altresì contenuto e forma)».
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