Nathalie Du Pasquier, “Volare, Guardare, Costruire”. Museo Nivola, Orani. Foto Francesca Ardau. Courtesy Fondazione Nivola
Bisogna ammetterlo: quando un architetto o un designer prende in mano una penna, quasi sempre poi, disegna in assonometria. È un gesto istintivo, quasi biologico, che risponde a un’esigenza primaria: concepire lo spazio in modo tridimensionale, pensando e ragionando sui volumi e sulle strutture. Non lo fa per snobismo o per scelta stilistica, ma perché immagina fin da subito muri, superfici, angoli e piani che convivono nello spazio reale. Così, quando Nathalie Du Pasquier si avvicina alla pittura in seguito al design, lo fa dapprima attraverso assonometrie dall’alto, a volo d’uccello, racchiudendo quello che il suo occhio vede all’interno di quattro mura. Perché costruire, da sempre, inizia così. Quattro muri per definire un interno, per suggerire un dentro e un fuori, un perimetro dell’immaginazione. Solo su quel perimetro si può in seguito elevare un solaio, disporre arredi, immaginare traiettorie. E dentro quelle quattro mura si muove l’inizio del suo percorso artistico.
È questo il cuore della prima sezione della mostra, a cura di Giuliana Altea, Antonella Camarda e Luca Cheri al Museo Nivola, dove l’artista rievoca quel primo impulso progettuale, trasformando il foglio in uno spazio concreto. Un’ossessione analitica che traspare in quei quadrati e in quelle composizioni ordinate, quasi come se ogni quadro fosse un modulo originario da cui tutto può nascere. Pensiamo, per analogia, agli origami: ogni figura nasce da un quadrato. Allo stesso modo, le prime opere pittoriche di Du Pasquier ragionano per moduli, per blocchi, per geometrie familiari al gesto architettonico. Viene in mente la metrica grafica di Gaetano Pesce quando abbozza in vista prospettica il Centro Culturale a Ginevra (1998) o i primi schizzi di Le Corbusier, dove ogni linea contiene in potenza un edificio. In questo senso, l’assonometria non è solo un metodo: è un rito iniziatico, un atto mentale e manuale che precede ogni costruzione.
Con il passare degli anni, la pittura di Du Pasquier evolve: abbandona le vedute dall’alto, si fa più concreta, più intima, e si concentra su una scala domestica. Ecco allora che appaiono oggetti comuni, ripetuti, sezionati, studiati. Una macchina da scrivere Olivetti, dei bicchieri con i loro riflessi, un paio di occhiali. Oggetti scelti non per la loro funzione, ma per la loro forma, per la loro presenza silenziosa. Un procedimento quasi morandiano, ma con un’intensità visiva più decisa, una chiarezza formale che si avvicina all’arte concettuale e alla riflessione seriale tipica del design. È un omaggio continuo agli oggetti, alla loro centralità nel vivere e nel progettare, che permane anche quando si cambia linguaggio. Gli oggetti vengono ripetutamente riproposti sulla tela, con angolazioni e prese diverse, come Enzo Mari disegnava più e più volte i profili degli animali, forchette, sedie, e così via. In questa seconda fase si legge una fedeltà sottile e ostinata all’universo delle cose, che in Du Pasquier non smette mai di essere motore creativo, anche quando la progettazione cede il passo alla pittura.
La terza sezione della mostra conduce nella fase attuale della ricerca di Du Pasquier. Una fase in cui l’artista costruisce per dipingere e dove le forme non nascono da un’astrazione pura, ma da oggetti reali, assemblati in piccoli modelli fisici, costruiti con le sue mani e poi trasposti sulla tela. È un processo inverso: prima si dà corpo, poi si dà immagine. Le tele si popolano di griglie, volumi, incastri: forme apparentemente astratte ma radicate nella concretezza di una costruzione. Il colore è acceso, ludico, pieno di quella vitalità che richiama il mondo dell’infanzia, del gioco, della scoperta. Un universo cromatico che, inevitabilmente, ci riporta alle origini del Gruppo Memphis: un’estetica libera dalla funzione, dove l’ornamento è struttura e il colore è progetto. Quelle stesse peculiarità che animavano il design radicale degli anni ’80 con l’amore per la geometria, l’uso provocatorio dei materiali e la sfida al funzionalismo. E così, Nathalie Du Pasquier continua a costruire mondi sulla tela, dove ogni forma conserva la memoria del progetto da cui nasce.
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Nathalie Du Pasquier’s approach in “Volare, Guardare, Costruire” beautifully blends colors, patterns, and spatial imagination. Her work at Museo Nivola is not just art, but a unique dialogue between objects and the surrounding environment.