MAAM, Photo Giovanna di Pietro
Qualche giorno fa, abbiamo attraversato Roma con il 508 fino ad arrivare a Tor Sapienza, nella periferia est, per partecipare all’evento Else/Where e (ri)scoprire il MAAM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz. Il programma di visita ha incluso un percorso guidato dal direttore e curatore Giorgio De Finis, il cultural panel Ab Urbe Recondita con quattro ospiti sul tema delle periferie, un’installazione interattiva e un djset finale.
Il MAAM è noto come il “primo museo abitato del mondo”, uno spazio ibrido dove vivono quasi 200 persone e convivono oltre 500 opere d’arte contemporanea donate negli anni da oltre 400 artisti. Sorge nell’ex salumificio Fiorucci di via Prenestina 913, occupato nel 2009 dal collettivo Blocchi Precari Metropolitani per assicurare un alloggio alle persone italiane e straniere in emergenza abitativa.
Oggi sono circa 70 le famiglie che abitano al MAAM, provenienti da diversi Paesi: Italia, Perù, Eritrea, Santo Domingo, Marocco, Tunisia, Ucraina, Sudan, Polonia, Romania e molti altri. Qui nasce Metropoliz, la “città meticcia”, un laboratorio sociale che rivendica il diritto all’abitare in una Roma sempre più sotto pressione per la finanziarizzazione degli spazi urbani. Giorgio De Finis racconta infatti la crescente esclusività delle città contemporanee, in cui a causa dei prezzi proibitivi gli abitanti sono costretti ad allontanarsi progressivamente dal centro e rischiano di perdere la casa o di non potersela permettere.
Il museo prende forma nel 2012, dopo il film Space Metropoliz di Giorgio De Finis e Fabrizio Boni, in cui gli abitanti immaginano una fuga sulla luna per sottrarsi all’emergenza abitativa. Da quel progetto nasce il MAAM, oggi riconosciuto internazionalmente come esempio di museo-cantiere e di sperimentazione culturale. Oggi è uno spazio fondamentale per capire il contemporaneo, ospitando artisti internazionali tra cui Millo, Lucamaleonte, Pivsk, Gio Pistone, Guerrilla Spam, Hitnes, Gian Maria Tosatti, Eduardo Kobra, Borondo e Pistoletto.
Dall’inizio, l’arte è stata usata al MAAM come una vera e propria barricata per difendere il diritto all’abitare delle persone. Come ricorda De Finis, le opere site specific realizzate dagli artisti sulle pareti della fabbrica diventano una sorta di barricata artistica contro gli sgomberi.
Tra le opere simbolo ci sono L’ultima Battaglia di Stefania Fabrizi, un murale di difesa posto all’ingresso, e La Cappella porcina. eMAAMcipazione di Pablo Mesa Capella e Gonzalo Orquín, che rilegge in chiave poetica e liberatoria la storia industriale del luogo.
Il MAAM ospita anche progetti internazionali come The Sanctuary City Project, che ha riconosciuto Metropoliz come il primo “Museo Santuario” al mondo, luogo simbolico di protezione per migranti e soggetti vulnerabili.
Dopo anni di battaglie, il Comune di Roma ha avviato un percorso per costruire 100 nuove case popolari destinate anche ai 68 nuclei familiari oggi residenti a Metropoliz. Quando gli abitanti saranno trasferiti, l’area industriale verrà sgomberata e il MAAM entrerà in una fase nuova, più istituzionale, ma con l’obiettivo di preservare la sua identità politica e culturale. Questa transizione potrebbe rappresentare l’inizio di una nuova era: un museo riconosciuto ma ancora fedele alla sua vocazione originaria di spazio di libertà, sperimentazione e resistenza civile.
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