Improvvisi cambiamenti di velocitĂ , combinazione di diversi stili musicali e diversi strumenti sono allâordine del giorno nella loro musica. Il terzo singolo tratto dal disco, âAbout To Dieâ, rappresenta questo grande caotico arrangiamento, ed è molto divertente, perchĂŠ sorprende ad ogni secondo. La traccia comincia con unâinteressante suono di batteria, per poi proseguire con la chitarra e i battiti di mani. Poi il beat si ferma e resta solo la voce del cantante David Longstreth. Lâintera canzone viene interrotta da improvvisi accordi di violini. Questa idea dellâinterruzione ha sicuramente influenzato David, non solo nella scrittura della canzone, essendo cantante e compositore dei brani della band, ma anche nel videoclip che accompagna la canzone, che lui stesso ha scritto e diretto. Facente parte di un progetto piĂš ampio, un vero e proprio mini film dal titolo âHi Custodianâ, il videoclip fa riferimento a quel concetto di interruzione e ripetizione che il regista francese Guy Debord realizzò tra la fine degli anni Sessanta e lâinizio degli anni Settanta, concretizzando quella che Benjamin chiamava unâimmagine âdialetticaâ. Il videoclip diventa unâesitazione prolungata tra lâimmagine e il senso. Non si tratta di unâinterruzione nel senso della pausa: è piuttosto una potenza dâinterruzione che lavora lâimmagine stessa, che la sottrae al potere narrativo per esporla in quanto tale. Ci troviamo di fronte a quel movimento dialettico tra cinema e arte, in cui Debord applicò il principio situazionista del dĂŠtournement, un dislocamento critico di un enunciato dal suo luogo di enunciazione.
Nel pieno dellâestetica del Situazionismo, le scene del videoclip ripropongono unâarte dove oggetto, rumore, azione, indeterminazione e aleatorietĂ sono gli strumenti per diffondere la canzone. Trattandosi di âmorteâ (about to die, appunto) lâoggetto principale è il letto, su cui giace la persona morente, ripreso in diverse location ed epoche: una stanza barocca, una povera ed una asettica, altamente futuristica. Lâazione è determinata dalla presenza degli altri individui nella stanza, vestiti con abiti completamente anacronistici rispetto allâepoca in cui è ambientata la scena (tute e camici da dottore per le scene del passato, ad esempio). Alcuni sono fermi e muovono semplicemente le labbra, seguendo il testo della canzone; altri invece entrano nella stanza, con un montaggio ripetitivo in pieno stile meta-cinematografico. Il rumore invece è dato dalla presenza di un furgone, che viaggia in un polveroso scenario dei giorni nostri. Queste scene infatti risultano totalmente sconnesse dalla logicitĂ dei momenti di âletto e morteâ che il videoclip narra. Ma ecco che entra in gioco lâaleatorietĂ : si scopre che in realtĂ una delle stanze in è proprio il retro del furgone che viaggia. Ed è questa che, dâora in avanti, diventa la stanza narrativamente principale di tutto il videoclip, in cui alla scena di morte si sussegue quella della band che suona in una piccola session live (molto piccola, vista la capienza del retro del furgone). Lo spazio man mano si arricchisce di personaggi, ricordando âLe Magasin De Benâ di Ben Vautier, lâopera manifesto del movimento Fluxus. Quel piccolo negozio pieno di scarti, vecchie cartoline, dischi di seconda mano, dipinti e sculture viene convertito, nel piccolo retro del furgone, in un mix di anziani, persone di cultura, ragazze in bikini, preti e unâintera sessione di violini. Come Vautier riuscĂŹ a sovvertire tutte le divisioni estetiche convenzionali, i Dirty Projectors approfittano del loro videoclip per mistificare la morte, confondendo le barriere che separano le divisioni sociali convenzionali. Nel piĂš classico dei saggi popolari: âLa morte ci rende uguali nella sepolturaâ.
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