Categorie: Musica

Tra tradizione e modernità, al Festival Puccini 67 sale sul palco la qualità

di - 26 Agosto 2021

Fra i più longevi del genere in Italia, il Festival Puccini è giunto all’edizione numero 67. Un po’ come nella Bayreuth di Wagner, anche a Torre del Lago Puccini, frazione di Viareggio dove il grande musicista lucchese fece costruire una villa (oggi museo) e cui fu sempre molto legato, vengono rappresentate, a parte rare eccezioni, solo opere del Genius loci, e in genere si ama farlo con allestimenti che non strizzino troppo l’occhio alle stravaganze. Quando però, come succede dallo scorso anno, la direzione artistica è in mano a Giorgio Battistelli, compositore attivissimo e di grande esperienza come organizzatore musicale, allora si sa già che molta attenzione verrà data al “nuovo”, o meglio, alle relazioni fra tradizione e contemporaneità.

E difatti Battistelli non si è smentito, collocando accanto agli immancabili titoli pucciniani – quest’anno Tosca, Turandot, La Bohème – la proposta di novità assolute scritte da ben cinque compositori italiani in due differenti serate. Una di queste, melologo (si tratta di una composizione la cui musica accompagna, innervandola, la lettura recitata di un testo), univa in un abbraccio le esigenze della narrazione con quelle della riflessione. La bicicletta di Bartali evoca la duplice grandezza di “Ginettaccio”, da sempre ammirato per le imprese ciclistiche ma solo in tempi recenti scoperto anche come benefattore che nascondeva nella canna della bicicletta in corsa fra Assisi a Firenze documenti falsificati ad arte, rischiando la vita per salvare quella di tanti ebrei perseguitati dai nazisti, tanto che il suo nome è immortalato nel Giardino dei Giusti presso lo Yad Vashem di Gerusalemme.

67° Festival Puccini 2021. Melologo dal libro di Simone Dini Gandini Voce Anna Nogara soprano Fleur Strijbos musiche Marcello Panni direttore Marcello Panni

Sul bel racconto di Simone Dini Gandini adattato per l’occasione, il compositore Marcello Panni ha costruito una partitura che definire postmoderna sarebbe riduttivo nei confronti dell’ampiezza di suggestioni offerte all’ascolto. Sì, Panni tiene conto dell’aspetto comunicativo, ma più che d’una priorità si tratta della conseguenza di un sagace mix di fresca spontaneità e sorniona consapevolezza di un vissuto musicale. “Giovanilissimo” compositore del 1940 che ha avuto per maestro Goffredo Petrassi e potuto frequentare un certo Stravinskij, Panni ha vissuto in prima persona le avanguardie, da Darmstadt ai minimalisti e oltre.

67° Festival Puccini 2021 Melologo dal libro di Simone Dini Gandini Voce Anna Nogara soprano Fleur Stijbos musiche Marcello Panni direttore Marcello Panni

Esperienze distillate nel tempo e, ora, in una partitura finemente cesellata nella strumentazione, che non s’è fatta mancare anche un cameo per la voce della giovane Fleur Strijbos e ha dato soddisfazione all’ensemble del Festival diretto dall’autore. Freschezza anche raccontata: l’attrice Anna Nogara, che si ricorda interprete in altre musiche nuove (Maderna, Berio), ha dipanato il racconto con sapienza e magistrale classe di diseuse. Recitazione e musica si giovavano delle proiezioni dello studio BOGUSLab per le sobrie illustrazioni Roberto Lauciello. Il tutto in una consonanza d’intenti che il pubblico ha colto e accolto con lunghi applausi.

La commissione di nuovi lavori non è stata l’unica lancia spezzata a favore della novità nella programmazione. Anche in quest’ottica s’è potuta apprezzare la Turandot nella versione completata da Luciano Berio, che ha già vent’anni di vita ma che non era mai stata data al Gran teatro all’aperto capace a regime di oltre 3000 posti, più che dimezzati per il distanziamento. Al finale di Berio, quasi in dissolvenza, guardava anche l’allestimento, impreziosito da una regia fatta di sottigliezze tutt’altro che scontate, com’è tipico della sensibilità di Daniele Abbado che l’ha firmata con scene di Angelo Linzalata e costumi di Giovanna Buzzi, mentre l’esecuzione si affidava a una direzione di John Axelrod intensa ma senza sbavature, e le prove vocali più felici si ritrovavano, la recita del 20 agosto, nella Liù di Emanuela Sgarlata e nel Calaf di Ivan Magrì.

A conferma del taglio innovativo dato al cartellone, la prima volta di Stefania Sandrelli in una regia d’opera, in Tosca che inaugurava con la bacchetta di Alberto Veronesi, direttore musicale del Festival. E un Pierrot lunaire di Arnold Schoenberg, capolavoro del Novecento che stimolò la curiosità di Puccini, spingendolo fino al Teatro della Pergola di Firenze per ascoltarlo diretto dall’autore, che a sua volta ne ricambiava la stima.

Una volta di più: quando governa la qualità, tradizione e modernità non sono mai in conflitto.

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