Ricordate i tre giovani di Faraway, che oziavano in una situazione di imbarazzante alienazione dalla realtà? In cui ogni movimento e ogni azione appariva priva di senso e chiusa in un vortice risucchiante? Reflected Reflection sembra rappresentare una reazione a questo vuoto, un invito a riflettere, nel vero senso della parola, e a riscoprire il meccanismo elementare capace di generare l’impulso volontaristico all’azione.
Il lavoro di Pennacchio Argentato (Pasquale Pennacchio e Marisa Argentato; vivono a Napoli) analizza da tempo l’ambiguità concettuale e l’osmosi tra processi fisici e mentali, tra natura e artificio, in un universo articolato secondo dualismi, in cui all’azione segue una reazione, alla causa un effetto. Il mondo filtrato attraverso gli occhi del duo napoletano, appare regolato da un’alternanza più o meno continua tra movimenti verso l’interno e verso l’esterno, oscillanti tra introspezione ed estrinsecazione, tra tendenza a implodere ed esplodere. Beans Beng, presentato negli spazi milanesi di Assab One nel 2004, era una chiara esemplificazione di questa dinamica: un big bang anomalo creato a partire da un minestrone e una serie di fili elastici attivati meccanicamente, che implodevano ed esplodevano. In Reflected Reflection i dubbi e le oscillazioni concettuali assalgono a partire dal titolo in inglese. Se cerchiamo di tradurlo in italiano –riflesso riflesso o riflessione riflessa?– subentrano non pochi problemi di ordine semantico. L’esercizio concettuale si prospetta impegnativo. Eppure l’impianto formale è molto semplice: due (calchi di) pozze fangose e una scultura. In una prima pozzanghera l’acqua trattiene sulla superficie un riflesso iridescente. L’occhio si solleva alla ricerca della fonte della rifrazione, ma deve constatare che la luce proviene dal fondo stesso della pozza.
La seconda pozzanghera è identica alla prima, ma appare prosciugata. Il riflesso ne è fuoriuscito insieme all’acqua, materializzandosi a poca distanza. Uno scherzo, dunque. Uno scarto laterale rispetto alle leggi della natura che ci restituisce in un attimo la pozzanghera come metafora e riflesso dell’autocoscienza. La coscienza racchiude al suo interno l’immagine del mondo in forma di pensiero: un movimento implosivo, a suggerire una sorta di raccoglimento introspettivo. Poi l’esplosione. L’idea/immagine forza i limiti imposti e viene finalmente restituita al mondo traducendosi in forma e materia. Riflettere non è solo rinviare un’immagine, come fa uno specchio, ma vuol dire anche rivolgere la mente a qualcosa, catturare al proprio interno una visione del mondo e restituirla in una forma nuova. Produrre idee e pensieri. Reflected reflection è un gioco di accostamenti e rimandi tra fenomeno ottico e attitudine mentale. Ma è soprattutto la messa in scena di quell’attimo prodigioso, che trasforma ciò che è statico in energia, idee e azioni. Quasi un’alchimia.
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