Mimma e Vettor Pisani, ancora una volta insieme, presentano, presso il progetto L’Angelo dell’Occidente un libro in cui poesie e disegni si assecondano per creare libere visioni legate al mito ed alla storia di lontane civiltà.
La serie di disegni si configura come un articolato insieme di volti e corpi stilizzati che si mischiano a linee amorfe. Cassandra, Edipo, la sfinge sono alcuni dei soggetti rappresentati da Vettor, emblemi di una mitologia resa con gesto morbido, estremamente omogeneo nonché lirico. La delicatezza di queste immagini sembra voler alleviare la complessa espressione celebrale dei versi di Mimma, che risuonano come interferenze mentali, per configurarsi in un’intricata cadenza di costellazioni visive. La linea poetica s’incrocia con quella figurativa, si compenetrano, come se l’autore fosse unico, come se ognuno degli artisti s’identificasse a pieno grado con l’altro.
La mostra presenta inoltre diversi altri lavori: così, la fragorosa espressione dell’artista campano si manifesta con forza ed è tale l’intrico di simboli e linguaggi che quasi si stenta a credere che si tratti dello stesso autore dei disegni.
Le figure storiche di Vettor Pisani appaiono ancora una volta: le statue rimaneggiate e defraudate degli antichi significati, i manichini, i fantocci, che creano ridondanti installazioni, spesso “profanate” con vernici e colori che ne complicano i significati.
E’ il caso del pianoforte a coda, spruzzato di colore blu e rosso, su cui giganteggia un manichino, ovvero una donna nuda che stringe due sacchetti di pigmento rosso. Porta tre libri al posto del cappello, gli stessi contenuti nella coda del pianoforte. Si tratta di Virginia Art Theatrum – Museo della catastrofe: la donna – manichino porta tre ombrelli al collo. Gattini colorati di blu e d’argento “riposano” intorno all’installazione. Tutta quest’intricata matassa di sensi rende l’opera estremamente riconoscibile: è il linguaggio di Vettor Pisani che si presenta e si rappresenta, con una forte coscienza di intenti formali che diventano veicoli espressivi significanti, assolutamente soggettivi.
Ma ancora una “fantocciata”, Il pupazzo di Paracelso appeso ad una livella obliqua, che scandisce una distorsione d’equilibri. Da qui pende una corda, una ruota, un barattolo di colore, ma anche un ombrello e dei guanti: un groviglio di logiche, che si configurano in un immaginario uscito indenne dagli aspetti più seducenti della contemporaneità.
I simboli scultorei del passato si ripropongono nell’opera di Vettor, con aggiunte di elementi e di colore, come se il mistero della storia fosse filtrato ancora una volta e rianimato attraverso la forza dell’elemento cromatico. Tanti i simboli espressivi presenti in mostra, che in qualche modo ripercorrono la carriera dell’artista napoletano: dalla dimensione densa di teatrale imponenza, alle parole che sembrano aleggiare per mischiarsi con i colori. E non poteva mancare il suo Cartesio (della Stupidità): il ritratto del grande filosofo e matematico attorniato di asini. Con una degna scritta conclusiva che recita: “Meglio un asino vivo, che un artista morto”.
tiziana di caro
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