Finalmente una personale come tutte dovrebbero essere, allestita badando alla successione cronologica e alle affinità tematiche delle opere, rendendo le fasi di una multiforme attività destinata a segnare un momento decisivo per l’avanguardia europea. Ebbene, più che una retrospettiva, la mostra di Piero Manzoni (Soncino, Cremona, 1933 – Milano, 1963) è una prospettiva, storica e visiva. Un’immersione nel tempo –come l’ha definita il suo curatore Germano Celant– concepita per saggiare tutto l’iter artistico dell’autore intrecciandolo agli avvenimenti culturali e artistici degli anni tra il 1956 e il 1963.
Duecento opere poste accanto a libri, inviti, filmati, preziosità come i due numeri di Azimuth (la rivista militante fondata insieme ad Enrico Castellani), certificati e testi autografi. Ma anche confronti con i segni e i messaggi delle ricerche artistiche consanguinee. Spazzato via l’unico neo (i cartellini, che nel giorno del prestigioso opening internazionale si presentano appuntati alle pareti con lo scotch), il quadro complessivo offre un percorso persuasivo e ordinato con appassionata cura.
Si comincia dagli esordi figurativi decisamente antropocentrici e surreali (che trovano un trait d’union nell’opera di Enrico Baj ) andando avanti tra sostanze plastiche, materiali poveri, linee continue e alfabeti. Nonché tra tutta la vasta creazione degli Achromes che -sviluppando la corrente “oggettuale” e monocroma della pittura- prendono senz’altro la rincorsa dalle tele create da Lucio Fontana e Yves Klein e dove è ben evidente il parallelismo tra l’autore e i suoi referenti nazionali ed internazionali (gli interventi segnici di Cy Twombly, quelli materici di Jean Fautrier, o frammentari di Alberto Burri).
Manzoni nella sua breve vita ha giocato brillantemente la propria partita. È stata la coscienza lucida, vigile, reattiva del paludato panorama italiano della metà del secolo scorso. C’era in lui un’insofferenza alla necessità di rappresentare il mondo e una rabbiosa smania di libertà dalla tradizione.
“Non c’è nulla da dire, c’è solo da essere, c’è solo da vivere”. Con questa affermazione (che campeggia sulla parete d’ingresso alla mostra) l’artista dà l’avvio ad una vera e propria rinascita della creatività italiana, aprendola ad un innovativo rapporto con la vita, calandola in una dimensione a metà strada tra ready-made estremo ed evento. Del resto, basta la documentazione fotografica in mostra a raccontare il suo fare ardito e scanzonato, i momenti più significativi del suo operare: Manzoni ha invitato il pubblico a Divorare l’arte (introducendo le atmosfere corali ed eccitanti della performance art), dato valore al suo fiato contenuto in un palloncino, firmato corpi di donna o di individui famosi trasformandoli in Sculture Viventi, inscatolato e messo in vendita Merde d’artiste.
Tutte azioni che hanno anticipato quelle che qualche anno dopo compiranno diversi artisti dell’arte povera e che affermano il corpo dell’autore e del pubblico come protagonista assoluto del prodotto artistico. Quanto basta dunque per permettere ai posteri di considerarlo come uno dei veri caposcuola di molti meccanismi volti a turbare le convinzioni in fatto di arte e a demistificare ogni conformismo o logica a cui la critica ufficiale annetteva valore.
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www.pieromanzoni.org
marianna agliottone
mostra visitata il 19 maggio 2007
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il solo il grande
Una cacata da un milione di euro. (Tanto è costata, non suoni offesa)
Ottima mostra. E buona anche la recensione che ha reso bene il concetto, dell'artista e dell'esposizione.
Grazie al genio di Piero, l'Arte divenne Concettuale.