Un giovane artista fa capolino nella stagione fortunata del ventennale di Alfonso Artiaco. Si tratta di Raffaele Luongo (Caracas, 1966; vive a Napoli e Firenze), con le sue installazioni che materializzano immagini della memoria, occupando in modo discreto, ma deciso, gli spazi della galleria. Il tutto è dominato da una bicromia improntata sui toni del bianco e del rosso, colori che assumono un significato simbolico proprio nel loro contrasto. Sono bianchi i 17 secchi che, come figure, abitano il luogo espositivo. Bianco il letto nell’opera Raffaele e l’autoritratto senza residui, bianco il cartoncino satinato che fa da supporto ai disegni. Rossa invece è la vasca dell’idromuseo, rosso il sangue con cui l’artista dà vita alle sue opere. È infatti proprio il tessuto liquido corporeo l’inchiostro con cui realizza le sue scenette, popolate da un immaginario fantastico, fumettistico, ma profondamente ancorato ai ricordi personali. Tutta la sua opera sembra improntata sulle dicotomie: pesante-leggero, effimero-duraturo, rumore-silenzio. Un lavoro che tende all’essenziale, senza per questo diventare pura autoreferenzialità. Nei disegni le linee sono perfettamente calibrate, i particolari minuziosi. A tradire l’uso del sangue al posto della china solo piccole sbavature, per un effetto “sporcato” che diviene componente reale all’interno di uno scenario fantastico.
Le storie di Paperino e Topolino, riproposte all’interno dei secchi bianchi e nella pila di giornali che dà il titolo alla mostra, richiamano un’infanzia passata ma diventano anche avventure da vivere per l’artista, che intitola le sue opere come fossero storie disneyane.
Così in Raffaele e l’idromuseo di Arte Contemporanea l’impressione è quella di viaggiare all’interno di una bolla, alla scoperta di relitti archeologici sottomarini, i quali altro non sono che le opere rimpicciolite dell’artista. Mentre un tris di palloncini bianchi aleggia sull’acqua, sospinto dall’aria dei ventilatori, la sfera che lo trattiene al fondo si muove sulle pareti interne della vasca.
È la creazione di un museo alternativo, così come lo era la Boîte en valise di Duchamp, con le stesse opere ridotte ma, in questo caso, evidentemente meno “trasportabili”. Un video all’ingresso della galleria dà l’illusione di vedere il peregrinare della sfera in presa diretta, come fosse lo spettatore stesso a trovarsi sott’acqua. Il rumore cadenzato della telecamera che sbatte sul fondo è l’unica componente sonora di tutto il lavoro, la casualità nelle inquadrature conduce lo sguardo in modo singhiozzato.
Nella varietà delle soluzioni ricorre un interesse per il campo d’azione delle percezioni, legato ad un uso effettivo, per quanto nascosto, dell’elemento corporeo. Ed è così che l’ultima dicotomia, interno-esterno, si riduce ad una voce unica. Firmata con il DNA dell’artista.
alessandra troncone
mostra visitata il 18 dicembre 2006
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