Si esce dalla galleria con l’illusoria certezza del reale
infranta e impazzita come schegge. Di specchi, dato che a frantumarsi è
l’oggettività della replicazione-conoscenza del mondo, in generale e attraverso
il mezzo fotografico. In uno stringente dittico espositivo di inconfutabile
pregnanza, la collettiva Blind Mirror sviscera analiticamente come la rappresentazione sia
impossibile specchio del vero, mentre la personale di Yamada esplicita il
portato emozionale e onirico dell’inquietante rivelazione.
Per Cheyney Thompson insensata è la “mimesi” di un reale ormai da
percepire per filtri matematici e tecnologici, come nel “ritratto concettuale”,
tautologicamente reiterato, di Robert Macaire, fittizio affarista senza scrupoli.
Proprio lo “spettro” del mercato scellerato infestante l’arte, evocato
ironicamente da David Robbins e incombente in ogni “riproducibilità”, anche artistica.
Il lirismo insito nella soggettività di tutte le
rappresentazioni anima invece l’elegante estetica, essenziale e nostalgica, di Johan
Thurfjell e
quella più baroccamente artificiosa e costruita di Eileen Quinlan. Dall’evocazione
poetica-narrativa del reale alla rigorosa riflessione metalinguistica sulla sua
duplicazione e percezione: la “cattura” fotografica da parte di Liz
Deschenes
dell’opera di R.H. Quaytman, a sua volta analisi sui codici dell’arte, non è che
l’aggiunta di un ulteriore livello di meditazione linguistica che replica la
realtà in un infinito rimando di rifrazioni, sino a renderla illeggibile per
eccessiva diluizione ragionativa, come impercepibile è ormai nello specchio di Photograph
n°24.
Ricerca sul passaggio da un medium della rappresentazione
all’altro è anche in Karl Haendel, che specularizza (appunto) in disegno iperrealistico le
foto dei suoi orologi, proprio come nel loro numero si moltiplica l’inesorabile
ticchettio del tempo, uno e molteplice, metafora del reale e delle sue
raffigurazioni. Che ne decretano la morte per pietrificazione, suggerisce Benoît
Maire nel dialogo
filosofico e di tecniche tra Medusa e il suo doppio. O ne negano il senso
profondo: osare catturare la vita di istanti celebri è costato a chi ne ha
scattate le foto, per Danilo Correale, la perdita della sua preziosa e fuggevole percezione,
nel momento in cui l’obiettivo si chiude. E il raffinato enigma delle sue
visioni, macroscopia del centro di quegli scatti, vuol ora restituirla.
Se l’inafferrabile e irreplicabile reale genera disagevole
inquietudine e straniamento, James Yamada (Bat Cave, North Carolina, 1967; vive a New York) evoca
la paura di un mondo incontrollabile con indecifrabili scritte cinesi su
dipinti e arazzi, allusione a ingestibili e minacciosi nuovi equilibri
economici tra i popoli. Non solleva dal buio l’ingannevole torcia pietrificata
di To build a fire,
esistenzialista solidificazione alla Rondinone dell’inanità tecnologica. Forse
c’è da riappropriarsi, con Animamatopoeia, dell’umile abbandono onirico e naturalistico alla
consapevolezza che ogni nostra rappresentazione del reale è solo un’ombra sulla
caverna platonica. O un cieco specchio.
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Personale
di Yamada nel 2007-08
Thompson
da Raucci/Santamaria
Solo show
di Rondinone
diana
gianquitto
mostra visitata il 19 marzo 2010
dal 19 marzo al 30 aprile 2010
James Yamada – Unless I
dream of one tonight
Blind Mirror
Galleria Raucci/Santamaria
Corso Amedeo di Savoia, 190 (zona San Carlo Arena) – 80136 Napoli
Orario: da martedì a venerdì ore 11-13.30 e 15-18.30
Ingresso libero
Info: tel. +39 0817443645; fax +39 0817442407; info@raucciesantamaria.com; www.raucciesantamaria.com
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