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fino al 31.I.2003 | Mat Collishaw | Napoli, Galleria Raucci/Santamaria

di - 31 Dicembre 2002

Era il 1988 e sembrano passati cent’anni. Era l’Inghilterra spavalda della Lady di Ferro. Era l’anno durante il quale nacquero gli anni Novanta per l’arte inglese. Damien Hirst, Sarah Lucas, Mat Collishaw, Tracey Emin, Chris Ofili, Ron Mueck, Marc Quinn e gli altri erano degli studenti; il primo organizzò in quell’anno Freeze. La madre di tutte le mostre per quel che riguarda i Nineties londinesi. Per la prima volta un gruppo di giovani artisti (il Goldsmiths College era la scuola) decise che non era più tempo di aspettare per decenni che un’istituzione gli facesse una mostra: Damien Hirst organizza un evento professionale e commerciale quanto basta. E inizia la Young British Art, l’ultimo vero fenomeno dell’arte contemporanea internazionale, colpevole di aver fissato a Londra – con buona pace di NYC – la capitale globale dell’arte attuale. La corrente venne subito ribattezzata e marchiata con l’acronimo YBA, in puro stile Charles Saatchi, il celebre tycoon pubblicitario mèntore e main sponsor del movimento.
Oggi che la YBA non è più tanto young, i suoi protagonisti cambiano sguardo, mutano atteggiamento nei confronti dei contenuti e dell’esposizione degli stessi, rendono asettiche e pulite le loro mostre. Mat Collishaw, ad esempio, ha abbandonato il sesso, la perversione, il sensazionalismo (Sensation, non a caso, fu il titolo della mostra che consacrò questo gruppo di ragazzi terribili) a favore di una rifilessione sulla natura, sull’immagine, sulla percezione. L’artista inglese, nato a Nottingham nel ’66 e residente a Londra, allestisce una mostra netta e fluida nelle due stanze di Raucci/Santamaria.
Un fascio di luce spara sulla parete immagini ripescate dalla memoria della campagna di Russia della Seconda Guerra Mondiale. Ogni diapositiva subisce una sistematica bruciatura della pellicola in quello che si scopre essere un video mascherato da diaproiezione. L’installazione è un sommario della recente ricerca di Mat rivolta alla fotografia, alla sua storia, alla ri-selezione ed alla archiviazione delle immagini. Di fronte alla proiezione dei quadretti debordanti di cornici barochissime in gomma trasparente forniscono una psichedelica quinta in lento, costante ed ipnotico movimento.
La natura è protagonista della seconda stanza. Se qualche anno fa Collishaw aveva ritratto fiori vittime di gravi malattie tumorali, riflettendo sulla caducità e sull’effimero, questa volta un gruppetto di boccioli sono responsabili della creazione dell’inferno. I lighbox percorrono due pareti della sala e lampeggiano lentamente per mettere i evidenza fiammelle e piccoli roghi sbocciati tra petali e pistilli. All’interno del ‘girone’ una grande cabina in legno ha le pareti dipinte con tranquille scene bucoliche, affacciandosi in una fessura un video ritrae una scena conviviale d’antan.
Come per il primo ambiente, lo slittamento di senso e lo spiazzamento cromatico avvolge anche questa seconda stanza. Sugli schizofrenici rapporti eden-inferi, Mat Collishaw chiude la sua quarta personale napoletana.
massimiliano tonelli
mostra vista il 13 dicembre 2002

———–

La natura dell’immagine, in bilico tra metamorfosi e immobilità, il suo essere viva nella contingenza, ma allo stesso tempo vaga, indistinta e mutevole nella nostra memoria, questi i temi che Mat Collishaw affronta alla sua quarta personale presso la Galleria Raucci/Santamaria. Nella prima sala sono proiettate diapositive che documentano la tragedia della spedizione italo-tedesca in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale: uomini vagano nel freddo e si presagisce un senso di morte e sventura che l’artista sublima, facendo sciogliere le fotografie in un acido che le corrode riducendole ad un magma indistinto. Ed ad ognuna ne succede immediatamente un’altra, destinata a sostituirla come un ricordo più vivo nella mente di ognuno.
L’immagine è, dunque, rievocata ma non ha il tempo di sedimentarsi. L’artista fugge il fascino della mera contemplazione e considera la visione come un momento di analisi dei processi della nostra coscienza.
Alle pareti stalattiti di ghiaccio sono illuminate dal retro, ma tra la luce e queste ultime, gira un disco, su cui probabilmente sono incisi segni o colori (non ci è dato saperlo!). Ne emana un senso di mutevolezza che anima quella natura di luce cangiante facendola sembrare mossa come da un brivido, un fremito di vita.
Tutto in questa prima sala è freddo, persino le cornici di vetro sembrano essere di ghiaccio.
Colori caldi e una musica suadente di sottofondo ci accolgono nel secondo ambiente. Al centro vi è una struttura tridimensionale, interamente dipinta al suo esterno con scene di una natura accogliente in cui l’uomo vive armonicamente.
La struttura cela su un lato una fessura da cui si intravede un video: in esso alcune persone di etnie diverse sono riunite intorno ad un grande albero. Il modo in cui Mat Collishaw compone l’immagine in questo video, la disposizione dei corpi e degli spazi fa pensare alla tradizione pittorica rinascimentale; è come se l’artista avesse voluto dipingere un quadro, così i suoi personaggi sembrano in posa per un pittore. L’unico elemento discordante è una farfalla colorata che, ogni tanto compare, svolazzando velocemente e tutto, per contrasto, al suo cospetto appare ancor più immobile.
Alle pareti vi sono una serie di light box in cui fotografie di fiori sono illuminate da una luce intermittente. La fotografia è scattata un attimo prima che il fiore finisca per decomporsi totalmente nel fuoco; in questo modo Collishaw blocca l’inevitabile dissoluzione dell’immagine e, allo stesso tempo, attraverso la luce intermittente, la rimette in moto rendendo eterno quell’attimo infinitesimale prima che la forma sparisca del tutto.
Il risultato è che i fiori bruciano, ma non si consumano.
Il lavoro dell’artista mette, dunque, in discussione non solo la percezione dell’immagine, ma anche dei suoi tempi, lasciandoci sospesi tra l’attimo e l’eterno; o travolti da una metamorfosi continua, come accade alle immagini della campagna italo-tedesca sciolte nell’acido, o sospesi, come i fiori, trattenuti per sempre nell’attimo prima di bruciarsi completamente.
valeria cino
mostra vista il 13 dicembre 2002

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GALLERIA RAUCCI/SANTAMARIA, piazza santa maria la nova 19 (centro storico), raucciesantamaria@interfree.it, mart_ven 16_19.30, sab 10_13, 0815521000. Dal 13 dicembre 2002 al 3 gennaio 2003.

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  • brava valeria!
    senso critico e poesia nella tua recensione...altro che cronologia del gruppo YBA!!!

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