C’è una data divenuta ormai uno spartiacque in quella che chiamiamo l’età contemporanea. È il 1989, anno della caduta del regime sovietico e del crollo del muro di Berlino, della crisi della Cina di Mao e degli scontri di piazza Tienanmen. Il crollo del sogno della Repubblica Popolare e della rivoluzione culturale cede quindi il passo ad un rapido processo di occidentalizzazione. Da quel momento un’incontrollabile esplosione consumistica cambierà profondamente la società cinese e il suo stile di vita. L’arte si fa strada in mezzo al caos, pronta ad assorbire come una spugna i contraccolpi della storia. Dal comunismo al consumismo la transizione è tutt’altro che indolore, ma gli artisti finalmente liberi dai vincoli del regime, inaugurano un periodo di creatività esuberante. Il critico cinese Li Xiating ha definito questa tendenza, Gaudy art, arte pacchiana. Una sorta di kitsch imbevuto di Asia. Il risultato di un incontro- scontro tra sistemi culturali, la fusione parossistica e ironica di codici linguistici e culturali diversissimi.
Un contesto in cui vengono alla ribalta, tra gli altri,
D’altra parte, già Andy Warhol aveva identificato l’anima pop dell’immagine di Mao. La felicità e l’opulenza dai tempi di Mao ai tempi del cheeseburger, si potrebbe dire. Insieme ai relativi meccanismi di propaganda/promozione che non sono sembrano poi così dissimili. Il logo di Mao e quello della Coca Cola diventano indicativi di tipologie di comunicazione che si fondono e confondono in una sorta di continuità. Fino a sembrare l’una il germe dell’altra. Ma il divertimento e la leggerezza sembrano prevalere in questo tripudio d’immagini kitsch pomposo e promiscuo. Facendole apparire come lo specchio di una società disorientata che stenta a ritrovare la propria identità, ma che sguazza felice (e inconsapevole?) nella ritrovata prosperità.
francesca boenzi
mostra visitata il 10 maggio 2005
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