L’antologica dedicata a
Luciano D’Alessandro (Napoli, 1933),
Fotografie 1952-2002, tocca terra napoletana, di ritorno dal suo passaggio a Villa Medici nel 2006 e a Rio de Janeiro nel 2007.
Da oltre cinquant’anni, l’artista partenopeo rapisce l’uomo nel mondo e lo riconsegna impreziosito dalla sua lente, attraverso le pagine delle più autorevoli testate nazionali e internazionali, come una perla rara d’impegno sociale e civile. Come un pungente e coraggioso pezzo di critica d’attualità.
L’esposizione è una carrellata di 91 immagini in bianco e nero, diverse per luogo ed epoca,
summa di una carriera foto-giornalistica pulsante di
humanitas e d’identità territoriale, che scaraventa
d’emblée chiunque vi si accosti nel tunnel della memoria. Allora si rivedono mucchietti di carte e di visi estinti nella
Banca di Roma, Roma 1977; o si tocca con mano il filo della vita che non si recide, passando da madre in figlia,
Sulla strada del Campidano. Sardegna, 1973.
Ci si accorge che il vento, negli angusti vicoli di Napoli, non ce la fa a soffiare e i panni sono ancora là stesi ad asciugare, come fantasmi immobili o scheletri negli armadi di
Via Cristallini. Napoli, 1952. Dentro una terra che si ribella sconquassando tutto nel
Terremoto in Irpinia, Sant’Angelo dei Lombardi (Avellino), 1980.
E poi ci s’incanta nel profumo dell’eleganza senza età, datata
Capri, 1969, mentre la vista trema sotto gli occhi fissi e vuoti di vite disperate, fameliche di amore. Rinchiuse, legate e perse nell’
Ospedale psichiatrico Materdomini di Nocera Superiore (Salerno), 1965-68, che l’artista cominciò a fotografare in seguito all’incontro nel ‘65 con lo psichiatra Sergio Piro. Drammi umani che nessuno aveva voglia di vedere e che avrebbe fatto comodo lasciare relegati nei ghetti, in quei tempi caldi di libertà politica e sessuale.
La morte civile, il vuoto affettivo nei cuori di malati, disadattati e reietti. La violenza dell’elettroshock e delle camicie di forza. L’abbandono, la lordura. D’Alessandro ferma il tempo e racconta queste brutture, sensibilizzando l’opinione pubblica su un argomento scabroso che serpeggiava ancora sott’acqua: la proposta di Basaglia di chiudere i manicomi. Una
querelle che poi diventò legge. La 180/78, venuta alla luce con la rassegnazione della presenza di una buona dose di follia in ciascuno di noi.
Queste piccole fotografie sono grandi punti interrogativi sulla storia. Hanno il dono del silenzio e della sintesi universale, efficace “
dalla Patagonia al Polo Nord”, disse l’artista in un’intervista. Consentono di riassumere i percorsi cronologici del tempo che non si ferma, accorciarli, interromperli e poi riprenderli da dov’erano stati lasciati, scolpendoli nella mente. Come grida di paura, urla di dolore e rabbia, ricordi offuscati, pensieri sparuti e taciuti. Che si lasciano pensare.