Categorie: parola d'artista

exibinterviste | la giovane arte – Brandon Labelle

di - 29 Marzo 2002

Quando hai iniziato ad interessarti al suono inteso come materia plastica e all’arte visiva in genere?
Il mio primo approccio all’arte visiva è avvenuto in maniera tradizionale. Ero interessato inizialmente alla pittura e alla scultura e solo successivamente ho iniziato a lavorare con le installazioni. Suonavo, inoltre, la batteria in una band e contemporaneamente coltivavo un particolare interesse per la musica elettronica e concreta; di qui cominciai ad interessarmi alle possibilità di registrazione del suono tramite i microfoni a contatto. Tutto questo ha iniziato a convergere in un’unica direzione verso il 1993/94: con Loren Chasse abbiamo creato così gli Id Battery, dove ci siamo concentrati essenzialmente sull’idea di suono come oggetto e ho iniziato ad occuparmene anche con progetti individuali.

La relazione tra il suono, lo spazio e l’oggetto ti porta ad indagare e utilizzare tecnologie di registrazione e procedimenti complessi d’editing. Che tipo di tecnologie utilizzi nel tuo lavoro?
Utilizzo una tecnologia low-fi, analogica a bassa definizione, come appunto il microfono a contatto che mi da la possibilità di avere un approccio fisico, materico e di presenza del suono. Uso il pro-toolls per organizzare i suoni che poi trasporto su cd, ma senza processarli digitalmente, m’interessa il suono come brano di “realtà”. Con questo non voglio fare distinzioni tra tecnologie analogiche e digitali: è solo una questione di scelta in base ad una personale sensibilità.

Oltre lo spazio, l’architettura e l’oggetto come fonti sonore hai realizzato dei lavori sulla parola. Me ne vuoi parlare?
Il mio interesse principale si focalizza sull’architettura e sullo spazio come ambienti che generano un’infinità di suoni e rumori, e sono attratto dalla possibilità di potermene appropriare per poi ricostruirli secondo una mia visione. Così anche la parola, contenuta all’interno del nostro corpo-spazio, ha iniziato ad intrigarmi, ad interessarmi da un punto di vista sonoro. Per esempio in una mia vecchia performance (contenuta in una registrazione intitolata Moltitude Solitude) utilizzavo un sacchetto di carta cui erano stati applicati dei microfoni a contatto: il semplice gesto di insufflare aria, di respirare e di pronunciare alcune parole, rendevano l’idea del corpo come spazio che contiene e genera suoni.

Che cosa fai nel momento in cui un suono o un rumore ti colpisce?
In realtà non si tratta di suoni strani o anomali bensì di ordinaria quotidianità, banali, e alla portata di tutti. Individuo degli oggetti e ne registro il suono, pongo così una sorta di blow-up, d’ingrandimento su particolari che normalmente trascuriamo, in questo modo s’innesca la possibilità per fruitore di notarli con particolare attenzione: il suono è per me un ready-made, un oggetto trovato o meglio “suono trovato” cui apporto sempre alcune modifiche per renderlo più straniante.

Vuoi parlarmi di qualche tuo recente lavoro?
Da poco ho presentato Tracing un’installazione presso la galleria W231 di Amsterdam dove avevano chiesto un mio intervento in occasione di un Festival di cinema. Ho creato così uno “spazio sociale” all’interno della galleria, allestendo con quattro panchine lo spazio dove ho sistemato degli speacker collegati ad alcuni microfoni che prelevavano rumori e voci dalla strada. I visitatori sedendosi sulla panchina, per riposare o bere una birra, dovevano rispondere ad alcune domande sui suoni che sentivano e dire da quale erano rimasti colpiti maggiormente, scrivendo poi le risposte direttamente sulla panchina e trasformando così i rumori in gesto fisico. Un’altra installazione che ho fatto di recente è stata Splitting presso la Galleria e.static di Torino dove ho piazzato alcuni sound-system negli spazi della galleria, in maniera volutamente dispersiva, che generavano suoni diversi in modo tale da creare una specie di conversazione tra le stesse macchine e gli spazi che le contenevano. Un altro progetto ancora è stato quello che ho presentato insieme a Giuseppe Ielasi, Valerio Tricoli e Renato Rinaldi durante la rassegna Per la sete dell’orecchio presso il tpo_euraquarium di Bologna. Si trattava di una performance a quattro con un grosso coefficiente d’improvvisazione e d’interferenza tra i suoni che ognuno di noi generava. Per quanto mi riguarda ho usato suoni trovati cui ho approcciato in maniera sbagliata, utilizzando diversi strumenti come pietre, un rastrello, una sedia e anche il mio stesso corpo.

Lavori moltissimo in spazi istituzionali come in spazi-off. A parer tuo ci sono differenze d’interesse tra l’America e l’Europa nei confronti della sound-art?
In Europa c’è una tradizione molto forte e rispettata nei confronti della Sound Art e diverse gallerie private e musei se ne occupano a differenza degli Stati Uniti dove l’interesse converge maggiormente verso opere più commerciabili (video, pittura, scultura) anche se di recente qualcosa sta cambiando.

Sei musicista, artista, hai una tua etichetta discografica, scrivi e pubblichi libri. Come riesci a portare avanti tutto contemporaneamente?
In realtà si tratta di attività che convergono in un’unica direzione data dalla mia ricerca sul suono. Come nel caso del libro Site of sound redatto a quattro mani con Steve Roden e pubblicato dalla mia casa editrice Errant Bodies Press, dove il progetto di mettere insieme alcuni tra i più interessanti sound-artists ha creato un contesto di laboratorio e di ricerca attraverso saggi teorici e lavori sonori contenuti nel cd allegato. Di recente ho anche pubblicato un altro libro intitolato Writing Aloud: the sonics of language dove analizzo il suono in relazione alla parola e alla scrittura.

Prossimi progetti?
Sono stato invitato di recente a partecipare ad un’iniziativa curata da Laura Culpan, una delle due curatrici dello spazio Toast di Firenze, che per fine maggio ha invitato una serie di artisti italiani e stranieri a fare delle installazioni site-specific in un albergo in restauro. Sarà anche un’ottima occasione per ritornare in Italia e in Toscana durante la primavera.

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Social Music
Brandon Labelle

Bio
Brandon Labelle è sound artist e scrittore. Nato a Los Angeles nei primi anni ’60, la sua attività inizia già nel 1995 con Public Site a Philadelphia e Island in the net alla Call Art a Los Angeles. Nel 2001 ha partecipato alla celeberrima Bit Streams, Whitney Museum New York.

Marco Altavilla

-Exibinterviste-la giovane arte-è un progetto editoriale a cura di Paola Capata-

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