Categorie: parola d'artista

exibinterviste -la giovane arte | Lucia Uni

di - 29 Settembre 2006

Chi ringraziare?
Lino Baldini della Galleria Placentia Arte, il primo gallerista che mi ha dato fiducia. Poi, Mario Gorni del Careof, che ha promosso il mio lavoro in diverse rassegne. E ho simpatia per Cesare Manzo, conosciuto in occasione di ‘Fuori Uso’. Ora ho iniziato a collaborare con Davide Stroppa della Galleria Pianissimo col quale ho in programma una personale per la prossima stagione, nella nuova sede che aprirà a Milano in Via Ventura.

Come va con i critici e la stampa?
Non ho ancora molta consuetudine con i critici. Leggo le recensioni. In generale ho stima di quelli che dimostrano autonomia nel giudizio, non la do mai per scontata.

Nessun appunto da muovere al “sistema dell’arte”?
Quella che mi lascia nel dubbio è la figura del curatore: spesso serve solo a differire ulteriormente l’artista e soprattutto il suo lavoro, a subordinarlo all’esigenza particolare di coesione all’interno di progetti molto vincolanti.

Perché e quando, da parte tua, la scelta dell’arte?
Come molti cercavo istintivamente quella qualità che si può definire “grazia”. Nel disegno, ma anche nella scrittura e nell’ascolto della musica.

Questa semplice cosa quando l’hai capita?
È stata importante la figura di mio padre, il suo particolare rapporto con le cose, con il mondo, la sua ironia, il suo essere inconsapevolmente un poeta, il suo taccuino con i disegni della marina e con i segreti militari. Quando ancora non c’erano computer e contenitori, lui con una penna descriveva il mare: disegnava strumenti per misurare la pioggia, l’altezza delle onde, elencava le denominazioni dei venti. Una tabella scritta a mano con perizia sullo stato del mare (piatto e calmo, quasi calmo, leggermente mosso, mosso agitato, tempestoso, eccetera) è in sé molto musicale.

La tua formazione?
Ho studiato all’Accademia di Belle Arti di Bologna e ho fatto anche un po’ di Università a Siena, Scienze della Comunicazione, ma ho smesso quando avrei dovuto studiare le reti neurali e il connessionismo. Poi un anno di Erasmus a Parigi, il più bello che ricordo, e di recente il corso della Fondazione Ratti, con Jimmie Durham come Visiting Professor.

Descrivici il tuo lavoro…
L’arte deve veicolare senso nel modo peculiare che le appartiene. E’ un metodo per sapere, per conoscere. Dovrebbe riuscire ad interrogarci sul suo, sul nostro, rapporto con la realtà, interrogando anche se stessa, il suo linguaggio, le sue forme in divenire, ma anche le sue costanti “fisiognomiche”. Il nucleo del mio lavoro è in profondità, per questo il mezzo che utilizzo può anche variare; per questo anche se faccio dei video non mi riconosco nella categoria del videoartista. Sento superati certi antagonismi che ancora ci sono in Italia, ad esempio tra chi fa pittura e chi no, oppure tra tradizioni e avanguardie.

Pregi e difetti?
Un pregio, che ho la presunzione di dimostrare nel lavoro, è l’autenticità. Così come l’intensità. Il mio difetto più grande penso sia la mancanza di diplomazia nelle relazioni di lavoro, e un estremismo di fondo che mi rende non facilmente adattabile.

Un esempio concreto?
Ad esempio non sempre trovo interessante fare un lavoro site-specific.

E nella vita?
Ho un rapporto costante con il mio inconscio, molta vita interiore. Paradossalmente questo mi predispone verso gli altri. Però mi infervoro facilmente, sono sanguigna.

Arte e politica possono guardarsi negli occhi?
Durante l’ultima edizione di MiArt mi sono esposta molto a riguardo, con un lavoro presso lo stand della Galleria Pianissimo. Un video sul “contratto con gli italiani”, in cui “La Linea”, il famoso personaggio disegnato e animato da Osvaldo Cavandoli, compare come all’interno del Carosello, sotto le mentite spoglie della curiosa B della firma di Berlusconi. Vista la contingenza delle elezioni so di aver cercato la facile lettura politica e l’equivoco, anche se non farei mai un lavoro che si esaurisce nell’attualità. Infatti quel lavoro parla dell’Italia in generale, della nostra infanzia, dell’infanzia della televisione e della sua successiva degenerazione.

Dov’è che lavori?
Il mio studio è sotto il livello del mare, è un seminterrato. Talvolta sembra il camerino di una diva.

A quale città senti di appartenere?
Ho interiorizzato tutte le città dove ho vissuto: Bologna, ad esempio, città “morandiana” e a misura d’uomo, dove ho scelto di compiere i miei studi. A Milano invece ho fatto molta fatica ad orientarmi. Adesso ho molti punti di riferimento, mi piace, ma nonostante tutto mi mancano un po’ gli orizzonti, la sento provvisoria.

Una tua mostra da ricordare?
La collettiva della Fondazione Ratti, presso il Careof di Milano. Lì ho per la prima volta Preghiera a mio padre, un video in cui un autobus doppio sembra suonare come un bandoneon. Ho sentito un grosso coinvolgimento da parte di tante persone, grazie anche alla musica di Daniele Di Bonaventura, un musicista straordinario. La musica è molto importante nel mio lavoro, non è mai semplice accompagnamento o se lo è dev’essere percepito come l’unico possibile, inestricabile dalle immagini.

Chi, secondo te, tra i tuoi colleghi, merita attenzione su scala internazionale?
Anna Galtarossa, Roberto Cuoghi, Roberto Ago e Alessandro Dal Pont.

exibinterviste – la giovane arte è un progetto a cura di pericle guaglianone

bio:Lucia Uni è nata Merate (Lc) nel 1973; vive a Milano. Personali: uni Lucia, Placentia Arte, Piacenza (2003). Tra le collettive: Cortocircuito: coincidenze ed incontri segnici, Ex Palazzo dell’Enel, Novara (2006); Fuori uso 2005 / La Strada, Ex Cofa, Pescara; Video.it, Circolo degli Artisti, Torino; Diverse Attitudini, Parco Villa delle Rose, Bologna; Tracce di un seminario, c/o Careof, Milano; (S) (O) (F) (A) (R), Seven Seven Contemporary Art, Londra (2005). Surely we will be confused, Corso Superiore di Arte Visiva, Fondazione Antonio Ratti, Ex Ticosa, Como; Moving!, Cassero delle Mura Medicee, Grosseto; Alta Attenzione, Miart, Milano (2004).

[exibart]



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