Categorie: Personaggi

Helmut Newton. Hollywood ruba un’altra stella

di - 3 Febbraio 2004

Termina la pellicola, si spegne il flash, un’accelerazione fatale ha preparato la posa finale: un muro di Los Angeles. A 83 anni si chiude l’obiettivo di Helmut Neustaedter nato il 31 ottobre 1920 a Berlino.
A dodici anni Helmut aveva la sua prima macchina fotografica e già allora la ruotava allegramente sui volti delle compagne di scuola, a sedici anni impertinente e improduttivo nel rendimento viene cacciato da scuola, decide allora di fare l’apprendista nello studio di Yva, fotografa di moda e di teatro. Nel 1938 per fuggire alle leggi razziali parte per Singapore, ma due anni dopo viene deportato in un campo di prigionia in Australia. Quando ne esce apre uno studio fotografico a Melbourne con il nome di Helmut Newton.
Il suo indiscusso successo di fotografo si consacra definitivamente quando lavora per Vogue Austrialia e riesce nel 1957 ad avere un contratto per l’edizione inglese della rivista trasferendosi a Londra. Dal 1962 è a Parigi e rimane nella capitale francese per vent’anni lavorando per le Jardin de modes, Elle, Queen, Playboy, Nova, Marie-Claire, Stern e ancora Vogue.
Ma il suo stile personale si esprime pienamente nelle fotografie degli anni ’60: in quegli anni decide che le mannequin potevano essere ancora più speciali scoprendo arditamente i loro lati migliori. Per troppo tempo le nudità sono state nascoste! Il voyeur esce finalmente allo scoperto e può dichiararsi portando fuori le sue visioni. Eccole le sue donne: determinate, sicure, spavalde mercenarie o soldatesse del sesso. Queste immagini insolite, apertamente schierate contro l’ipocrisia sono state il suo cavallo di battaglia. E’ lui a portare per primo il sesso nell’immagine di moda; amava capovolgere le situazioni e allora ecco che il vestito è svestito. Qualcuno definisce le sue immagini porno-chic, ma a Newton non piaceva questa definizione, “tutt’al più sono un feticista…” diceva di se stesso.
Scenografie di lusso, in luoghi di temporanea permanenza: alberghi, piscine, automobili, aerei fanno da sfondo ad una donna sempre auto determinata, senza incertezze.
Le critiche mosse tanto da qualche gruppo femminista quanto da alcuni suoi colleghi, ai suoi punti di vista, se da un lato sono l’espressione di una non negata libertà d’opinione, dall’altro appaiono come giudizi di comodo o, peggio, scelte obbligate quando non riuscendo ad essere sinonimi in qualche modo non resta che essere contrari.
A chi lo definiva un artista rispondeva di non considerarsi un artista, perché non ritoccava le sue foto, ma di essere sicuramente un buon osservatore. Tanto può bastare per essere un ottimo fotografo, un attento osservatore dei cambiamenti della società, un realista.

Ma La realtà non onirica può essere, non solo per anagramma, ironica. E’ questo un tratto fondamentale della sua personalità; fotografava alcuni personaggi della moda e dello spettacolo talvolta ridicolizzandoli, cosa che essi non avvertivano affatto durante gli scatti. Ne è la prova l’ultimo reportage eseguito per Vanity Fair in casa Savoia all’inizio di quest’anno. La famiglia reale appare ritratta nel parco della villa di Ginevra: la corona per Marina Doria e le insegne nobiliari per Vittorio Emanuele ed Emanuele Filiberto appaiono in qualche modo carnevalesche…
Una volta Newton disse: “Se c’è qualcosa che odio è sicuramente il buon gusto [..]”.
Era la scoperta che la provocazione, di cui era sostenitore, risiede in misura maggiore in ciò che è fuori dai canoni, in ciò che infastidisce, in ciò che non possiamo liquidare dallo sguardo con un banale e ormai troppo noioso inno alla bellezza.
Negli ultimi anni le sue foto sono state raccolte in diversi libri (tra cui : The Best of Helmut Newton, 1996; 72 ore a Roma, 1998; Us and Them, 1999; Sumo, 1999; Work, 2000) e numerose sono le esposizioni che gli vengono dedicate: nel 1984 il Musée d’Art Moderne di Parigi ospita una sua retrospettiva; nel 2000 prepara assieme alla sua instancabile compagna June, un’antologica alla Neue Nationalgalerie di Berlino. Nel 2003 la Galleria Sozzani di Milano con la personale Yellow Press ha mostrato un altro lato del voyeurismo newtiano: quello della curiosità per la cronaca.

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