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L’intervista/Patrizia Sandretto | Che il Ministro ci ascolti davvero!

di - 24 Settembre 2014
La politica sembra interessarsi all’arte contemporanea, almeno più di prima. Franceschini dà segnali positivi e infatti in diversi cercano di impallinare lui e la sua riforma dei Beni Culturali. Uno dei motivi è che guarda anche al privato, non per strabismo, ma perché è una realtà piuttosto viva. E prova ne è il fatto che questo settore oggi ha compiuto un passo avanti, candidandosi come interlocutore per il cambio di passo che (forse) si annuncia.
Ve ne abbiamo già parlato, ma ora riprendiamo meglio il discorso con Patrizia Sandretto che da ieri è il presidente del Comitato promotore per le Fondazioni Italiane d’Arte Contemporanea, la nuova rete che mette insieme (per ora) quindici Fondazioni private dedicate a questo mondo. Quattro in Piemonte: Fondazione Spinola-Banna (Riva presso Chieri, Torino), Città dell’arte-Fondazione Pistoletto (Biella, Torino), Fondazione Merz (Torino), Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino). Cinque nel Lazio: Fondazione Giuliani (Roma), Fondazione Memmo – Arte Contemporanea (Roma), Nomas Foundation (Roma), Fondazione Pastificio Cerere (Roma), Fondazione VOLUME! (Roma). Due in Lombardia: Fondazione Nicola Trussardi (Milano) e Fondazione Antonio Ratti (Como). Una a Napoli: Fondazione Antonio Morra Greco. Una a Venezia: Palazzo Grassi – Punta della Dogana – Pinault Collection (Venezia). Una in Liguria: Fondazione Remotti (Camogli, Genova), E una in Sicilia: Fondazione Brodbeck (Catania). Ecco come Patrizia Sandretto spiega questo nuovo progetto.
Quando è nata l’idea di associarvi in un Comitato?
«È un pensiero che ho da tempo, soprattutto guardando quello che accade all’estero. Come Fondazione Sandretto Re Rebaudengo abbiamo partecipato a FACE, (Foundation of Arts for a Contemporary Europe) che riunisce quattro istituzioni private europee: DESTE di Atene, La Maison Rouge di Parigi, Magazin 3 di Stoccolma e noi. In Italia c’è AMACI, che raccoglie 24 realtà, tra musei e centri per l’arte contemporanea ma, fino ad oggi, mancava una rete delle fondazioni private che lavorano nello stesso settore. E il segnale di incoraggiamento è venuto proprio dalle istituzioni».
Vale a dire?
«L’8 maggio scorso, durante il Salone del Libro di Torino, ho sentito dire dal ministro Franceschini che “bisogna investire nell’arte contemporanea”. Pochi giorni dopo, a Milano, in un convegno organizzato al teatro Parenti, Francesco Rutelli, che presiede l’Associazione Priorità Cultura, ha affermato la necessità di “valorizzare la cultura e fare rete tra pubblico e privato”. Sono stata invitata a parlare e ho sottolineato il fatto che in Italia esiste un numero importante di fondazioni, che però ancora non hanno trovato una voce omogenea per arrivare a parlare nel giusto modo alla collettività. L’accoglienza positiva mi ha spinto a muovermi. Ho iniziato a contattare le altre fondazioni, ci siamo scritti più volte, ho registrato molto entusiasmo, abbiamo deciso di costituirci in associazione da un notaio e il risultato è che oggi siamo ben quindici realtà, tra il nord e il sud, l’est e l’ovest dell’Italia riunite insieme. Ieri, nella fondazione da me presieduta a Torino, ci siamo presentati ufficialmente».
Per fare che cosa, in concreto?
«Il primo passo è metterci in rete per riflettere su positività e criticità di cui abbiamo fatto esperienza singolarmente in questi anni di lavoro. Abbiamo tutti maturato delle professionalità precise, abbiamo rapporti con le comunità locali e con i pubblici e quindi ci sentiamo pronti a dare il nostro contributo al pubblico».
L’occhio quindi è rivolto alle istituzioni, quali sono le prime cose che volete chiedere?
«Il ministro Franceschini ha istituito una Direzione per l’arte contemporanea? Bene. Vogliamo sederci allo stesso tavolo con il ministro per fare insieme una prima programmazione per questo settore del nostro Paese. Capire per esempio anche che cosa significa abbinare a questa Direzione la realtà delle periferie, visto che la Direzione è per l’Arte, l’Architettura Contemporanee e le Periferie. Essere informati, e magari poter dare il nostro contributo, su chi sarà nominato al vertice. Capire anche che significa insistere sulle periferie, quando l’arte contemporanea forse non è ancora entrata di diritto in Italia».
Vi ponete in maniera alternativa all’AMACI che, come ricaduta sulla società, in 10 anni ha prodotto solo la Giornata del Contemporaneo? Purtroppo non è stata mai ascoltata per la nomina del direttore artistico del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia, né è riuscita a incidere in materia di fiscalità, anche se il suo focus sono i musei.
«Non vogliamo essere alternativi ad AMACI ma lavorare insieme, magari più incisivi sì, almeno ce lo auguriamo. Vogliamo arrivare al tavolo con il ministro con molta umiltà, mettendo a disposizione le nostre esperienze, le nostre relazioni internazionali e, possibilmente, dando delle indicazioni su come procedere».
Le prime cose da fare?
«In Italia è molto sentito il tema della conservazione, ma nella cultura contemporanea dobbiamo cominciare a parlare di produzione. Sulla fiscalità per esempio, come è stato sottolineato ieri a Torino da Alessandra Donati, giurista esperta d’arte, continuano ad esserci dei buchi clamorosi: nell’Art Bonus, approvato recentemente dal ministero dei Beni Culturali, non si parla di arte contemporanea».
Non teme critiche del tipo: ecco l’ennesimo tentativo con cui il privato punta alla defiscalizzazione e quindi a guadagnarci in prima persona?
«Non ci siamo messi insieme, né facciamo una battaglia per la defiscalizzazione ma per incentivare le donazioni, specie nel contemporaneo. Non intendiamo neanche fare mostre insieme, come è stata per esempio l’esperienza di FACE. Certo, l’attivazione di alcune sinergie è possibile e benvenuta. Ma non è questo il punto. Intendiamo mettercela tutta per raggiungere obiettivi che siano a vantaggio dell’intera società. Franceschini e Rutelli ci hanno detto che ci aspettano a Roma. Se vediamo che il nostro impegno serve davvero e se da parte del pubblico ci sarà interesse e sensibilità alle nostre proposte, bene. Altrimenti chiudiamo. Siamo tutta gente che ha da fare e non possiamo permetterci di perdere tempo inutilmente».
“Fate presto”, insomma, per citare Andy Warhol. Soprattutto perché l’Italia non sparisca dalla scena internazionale, come sta accadendo, e per far tornare artisti e curatori a lavorare nel nostro Paese?
«Sì, fare presto!»

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