Storico dell’arte al di là delle categorizzazioni e delle cronologie, teorico dei media e pensatore fuori dagli schemi, prolifico e apprezzatissimo autore, Hans Belting è morto il 10 gennaio 2023, a Berlino, all’età di 88 anni. Pubblicò il suo primo libro nel 1962 e, da quel momento, diede alle stampe circa 30 volumi, occupandosi di argomenti eterogenei e facendo della trasversalità un metodo di ricerca, da Marcel Duchamp all’arte fiamminga, da Giovanni Bellini alle iconografie religiose.
Tra i suoi titoli più noti “Das Ende der Kunstgeschichte?”, pubblicato per la prima volta nel 1983 – in Italia da Einaudi con il titolo “La fine della storia dell’arte o la libertà dell’arte” – e quindi riscritto dieci anni dopo. Nel volume si affrontano questioni cruciali della storiografia, dal rapporto tra scrittura e opera, alla trasformazione della “scienza dell’arte” in “scienza visiva”. Tante anche le sue collaborazioni, in particolare quella con il grande regista Peter Greenaway e in occasione di diversi progetti con il ZKM – Centro per l’Arte e la Tecnologia dei Media di Karlsruhe.
Hans Belting nacque ad Andernach, il 7 luglio 1935, e conseguì il dottorato in Arte medievale a Magonza, nel 1959, con una tesi sulla Basilica dei SS. Martiri in Cimitile e il suo ciclo di affreschi altomedievali. Completò l’abilitazione con uno studio sulla pittura dell’Italia meridionale di epoca longobarda. Fu poi Harvard fellow presso l’American Byzantine Studies Research Center Dumbarton Oaks di Washington e divenne docente di Amburgo, dove istituì il dipartimento per l’arte bizantina, prima di diventare professore a Heidelberg.
Pubblicò delle raffinate edizioni critiche e in facsimile sul libro miniato, studiandone l’evoluzione e la funzione in relazione alla committenza. Partendo dalla tradizione degli studi iconologici, riuscì a indirizzarsi verso una nuova linea di analisi, focalizzandosi sulla funzione e sulla ricezione dell’opera d’arte nel suo contesto sociale e culturale.
Belting avrebbe poi rimesso in gioco questa sua formazione così specifica attraverso comparazioni significative, arrivando a identificare una linea rappresentativa e concettuale medievale arrivata in profondità fino a oggi, individuando, in moderni come Beckmann, Duchamp, Struth, Sugimoto e Wall, un radicamento nella zona di transizione tra tarda antichità e alto medioevo.
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