ANCORA BOLLETTINO DALLA CRISI |

di - 18 Giugno 2009
Le recenti aste newyorchesi di maggio lo hanno confermato, dalla tornata di Post-war & Contemporary di Christie’s, che ha totalizzato 93.734.500 dollari confermando le caute stime di prevendita (tra 71,5 e 104,5 milioni), a quella di Contemporary Art di Sotheby’s, che a fronte di un scarso fatturato ($ 47.033.500) ha però garantito la vendita dell’81% dei lotti per il 78% del valore. Delusione invece in casa Phillips: 7,7 milioni di dollari e spiccioli l’incasso, 38% di invenduto, solo il 57% del valore ricavato.
L’andamento generale si è allineato ai risultati delle aste di arte moderna e impressionista di qualche giorno antecedenti. Christie’s ha azzeccato anche qui un buon risultato sul fatturato (102.767 milioni di dollari sulle stime tra 87,6 e 125 con un 21% di invenduto mentre Sotheby’s è riuscita a vendere tutto ma arrivando a incassare poco più di 61 milioni di dollari (ovvero il 59% del valore).
Le due maggiori case d’asta sembra che per una volta abbiano scelto strategie leggermente divergenti: più coraggiosa e conservativa sui prezzi quella di Christie’s, più flessibile quella di Sotheby’s, che ha puntato a contenere il tasso di invenduto attraverso una politica di drastica riduzione dei prezzi.
Almeno sul fronte del Contemporaneo la scelta di Christie’s sembra aver pagato meglio. Certo è che proprio sull’arte contemporanea si sta giocando la partita più pericolosa, come dimostra l’emorragia di Phillips.
In tempo di contrazione dei prezzi il valore storico dell’arte diventa una garanzia determinante per l’investimento nel lungo periodo ma che succede se tale valore storico viene a mancare, come nel caso dell’arte contemporanea delle ultime generazioni?
Il punto critico è questo: la speculazione operata sul mercato dell’arte contemporanea ha indotto un innalzamento dei prezzi fuori dalla norma e in tempi brevissimi.

Se il mito del mercato dell’arte è da sempre la traduzione del valore culturale in valore economico, l’arte contemporanea transitata dalla speculazione alla crisi senza passare dal via e scopre oggi come il suo valore sia pressoché totalmente ascrivibile ad un contesto economico. E che il suo valore culturale sia per lo più illusorio e poco solido, nella migliore delle ipotesi sopravvalutato.
Caso emblematico è la pittura cinese che oggi sconta una folle corsa a braccetto di un’economia galoppante ma che dal punto di vista tecnico o concettuale non ha portato altro che pallide rivisitazioni di modelli occidentali del secondo dopoguerra.
In un momento così delicato la strategia di Christie’s di rallentare e contenere la caduta dei prezzi in attesa di momenti migliori è positiva.
Per capire in che misura lo scenario sia mutato, come si diceva all’inizio, bastino i confronti con lo scorso anno, quando le tre maggiori case d’asta erano arrivate a ricavare, da 207 lotti complessivamente, oltre 755 milioni di dollari. Quest’anno ad una riduzione decisa dell’offerta (146 lotti = – 30%) ha corrisposto una ancor più netto ridimensionamento del ricavo, pari a poco più di 148,5 milioni di dollari.

Un’enormità, specie se associata ai commenti degli analisti e degli operatori, improntate ad un curioso, moderato ottimismo: il mercato non è fermo, si concentra sulla qualità, sta reagendo con decisione.
Sarà ma tra noti capolavori invenduti e aggiudicazioni a prezzi di due terzi inferiori all’anno scorso alzi la mano chi è in grado di stabilire almeno con approssimazione quanto valga realmente un’opera d’arte contemporanea oggi. Qual è il prezzo giusto? Al di là delle reazioni del mercato alla crisi resta questo il vero nodo da sciogliere, capire cosa ci si ritrova per le mani. Un problema non da poco che coinvolge molti mid-career e giovani artisti.
Nelle ultime tornate d’asta solo sei artisti proposti sono nati dopo il 1959, segno evidente di un’inversione di marcia decisa del mercato, alla ricerca di valori consolidati.

Una strategia che non manca di condizionare anche molte gallerie, che in questi mesi tendono a non rischiare troppo sull’arte emergente. Paula Cooper, nella collettiva After Image, mette insieme Cy Twombly, Sol LeWitt, Cézanne, Degas e Mondrian; Gagosian risponde con i Mosqueteros di Picasso, James Cohan sul tranquillo nome di Nam June Paik, Deitch su Francesco Clemente e via dicendo. Casi isolati, casualità? Può essere, però dalla recessione alla regressione il passo è breve. E a pagare il prezzo più caro rischia di essere proprio la ricerca.

alfredo sigolo


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 57. Te l’eri perso? Abbonati!

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Visualizza commenti

  • Caro Alfredo,

    io credo invece che la "ricerca" ne godrà pesantemente. Saranno in diffcioltà quegli impiegati e artigiani travestiti da giovani artisti o artisti mid-career. Andrà in crisi quella ricerca "professionistica" che propone soluzioni da ikea-raffinata con il solo scopo di sostituire il "lavoro" con la "vacanza". Questo stato di cose è ossigeno per la qualità e per un lucida presa di coscienza.

    Non per niente le migliori cose del '900 si sono affermate in contesti economici e culturali "difficili" e complessi dove gli artisti sono portati a dare il meglio di sè.

  • A che punto sta la crisi? Deve ancora iniziare, pazienza, arriva, arriva...
    La famosa "ricerca" finirà in discarica. Beh, vuole dire che una cosa buona porterà.

  • Questa crisi è ossigeno per la ricerca. Andranno in crisi solo quegli artisti giovani e mid-career che si ostinano nel perpetuare il solito artigianato rassicurante. E anche i galleristi e che collezionisti che agiscono professionalmente avranno solo vantaggi.

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