Bentornata Politica! |

di - 29 Marzo 2012
Non è di certo un clima da guerriglia, ma in alcune frange dell’arte il mood è agguerrito. In senso buono. Per parlare, indagare e ripartire attraverso un sistema che non c’è o che da sempre langue e vive in difficoltà. Della crisi ce ne siamo accorti tutti ma è arrivato il momento, davvero, di dire basta. Proprio perché sono numerosi gli esempi di una rinascita, di una ritrovata attenzione della cultura, almeno in certi settori della società, di attività in grado di scrivere un nuovo corso dell’arte e del modo in cui la creatività è in grado di tirarci fuori dal fango.
E gli artisti, come sempre, sembrano i primi ad essersi accorti di quanto sia importante avere a mente, e lavorare, sul materiale primario e più abbondante che abbiamo in Italia: un non-sistema, la mancanza di fondi per la cultura e l’infinito network di persone, istituzioni, fondazioni e collettivi che, nonostante le condizioni avverse, fanno cultura e ricerca in presa diretta, in trincea.
Ilaria Gianni e Cecilia Canziani, direttrici artistiche della Nomas Foundation di Roma, hanno iniziato 3 anni fa un progetto con il duo di artisti olandesi Fucking Good Art, che si è concretizzato nel volume ibrido Italian Conversations -The Art in the age of Berlusconi, non una guida all’arte del Belpaese, bensì una mappatura di un luogo geografico attraverso il punto di vista singolare di due “stranieri” che hanno, attraverso una serie di residenze, da Torino a Lecce, raccontato una situazione che un addetto ai lavori italiano probabilmente non sarebbe mai stato capace di scrivere.
Cosa ne è venuto fuori? Che l’Italia, nelle sue immense mancanze, e viene veramente in mente Totò con “l’arte di arrangiarsi”, può essere una sorta di Paese virtuoso che tutta l’Europa in crisi dovrebbe guardare come modello per riprendere fiato: «Il supporto economico, una struttura forte dietro la produzione del contemporaneo è sempre mancata. Dalla ricerca dei Fucking Good Art emerge come la forza individuale di certi personaggi e di certe realtà, diventi un’energia importante che produce cultura, progetto e un modo alternativo di lavorare proprio a partire dalla mancanza di un sistema» spiega Ilaria Gianni.

In qualche modo ci sembra lampante che si stia aprendo una sorta di nuovo capitolo: quella che restava solo una dimensione sotterranea, seppur di eccellenza, punta di diamante nella penisola che velocemente sprofondava, oggi, in un confronto internazionale e aperto all’Europa, esce alla luce.
Non è un caso che anche all’Istituto Svizzero di Roma si sia ideata una sorta di partnership con la Biennale di Berlino: le “Solidarity Actions”, curate da Salvatore Lacagnina in occasione della presentazione di una selezione di video del curatore polacco della prossima BB7, Artur Żmijewski, redattore anche per la rivista molto politicamente impegnata “Krytyka Polityczna”.
Una modalità per creare un dibattito che entri anche in luoghi che si sono “scollati” dall’idea di contenitori di dialogo.
Anche in questo caso, quello che emerge dagli incontri con Żmijewski all’Istituto Svizzero, è la necessità di creare cooperazione, il bisogno di lavorare su obiettivi comuni per poter far rialzare non solo un sistema-arte ma anche, e soprattutto, un sistema-Paese dove quello che manca, ancora, è l’unione degli intenti o quantomeno una sua “collettivizzazione”.
E mentre Fucking Good Art, senza arrivare a conclusioni di sorta ma solo muovendosi senza pregiudizi (probabilmente perché “esterni ed esteri”) prendono in esame realtà che noi non avremmo guardato e viceversa.
Anche nel caso dell’Istituto Svizzero, i protagonisti delle “Azioni di Solidarietà” sono in qualche modo antagonisti dello sclerotizzato sistema socio-culturale europeo. Non solo perché si sta dando spazio ai temi di una Biennale di Berlino che probabilmente mai come quest’anno sarà politicamente connotata, ma anche a gruppi di coscienza, e resistenza, come Occupy.
Queste, detto tra noi, ci sembrano le parti più adatte per ricominciare a tracciare le fila di un dialogo che, nell’Italia dell’esasperazione del 2011, anno di stesura di “Italian Conversations”, tra un tumulto e l’altro era forse stato messo in secondo piano. Ora, sebbene la situazione non sia particolarmente cambiata e si guardi però al futuro come se fosse passato un secolo dall’anno scorso, è necessario squadrarci dentro e fuori dai confini nazionali.
Primo, per imparare che, da un certo punto di vista, l’import-export dell’arte in Europa, con meno denaro disponibile, ha bisogno di un modello per reinventarsi. E la spinta potrebbe venire proprio dall’Italia, dalla nostra politica di sopravvivenza che descrive una modalità di “resistenza” forte in un’epoca non meno sciagurata di altre.
Secondo, per riprendere un dialogo che ci permetta non solo di teorizzare ma di agire, di rimettere mano a quelle pratiche umane che si sono separate dalla vita sociale e dall’arte. Per ridefinire la nostra crisi non come un momento fallimentare, ma come l’occasione che ci è stata “regalata” per cambiare rotta. Ed essere più forti.

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  • Come ben sai sono d'accordo con te.

    Il problema del Bel Paese è che non si riesce a fare rete semplicemente perché siamo rimasti ad una visione molto provinciale del 'fare impresa' (dove con 'impresa' intendo 'iniziativa' di qualsiasi genere e non solo 'imprenditoria').
    Ognuno è così impegnato a 'zappare il suo orticello' e ad alzare 'recinzioni' che non si rende conto che il mondo dell'arte dovrebbe essere un grande campo senza confini dove tutti possono relazionarsi fra di loro, integrare risorse e know-how, per costruire finalmente un 'sistema' dove è solo la cultura ad avere la meglio, scalzando una volta e per tutte personalismi, protagonismi e deliri di onnipotenza di una classe 'politica' (quella che è al governo dell'attuale 'sistema arte') che ha allontanato questo mondo da quello reale, rendendolo una piccola 'isola dei famosi' costellata di fenomeni e meteore supportati e 'sopportati' solo dalla speculazione e dal mercato.
    E questa 'unità' risolverebbe gran parte dei problemi che assillano l'arte (non solo contemporanea) e la cultura in generale, non ultimo quello della mancanza di fondi.
    Come vedi questo genere di input continuano a venirci dall'estero e non trovano proprio terreno fertile in questo contesto abituato più all'inciucio che all'onestà intellettuale.
    Comunque sta a noi, alla 'nuova generazione', adottare questa politica e portarla avanti con convinzione e determinazione.
    Per cui, forza!, continuiamo a tessere questa grande e nuova rete della cultura...

  • siete i soliti poveri scollati dalla realtà.
    fate sorridere, perchè ridere è da intelligenti!
    poverini, vi vedo, nei vostri happy hours alla nomas in tempo di crisi! noi piccoli operai possiamo capirvi. l'arte è viva e lotta insieme a noi! che ridere

  • Il progetto della Nomas è intelligente, anche se chiamare, dalla Nomas Foundation, due persone esterne per leggere cosa avviene sulla scena italiana equivale al fatto che il PD o il PDL chiamino due persone esterne per leggere il sistema politico italiano. Queste due persone saranno influenzate dall'essere state chiamate da un protagonista del sistema che devono analizzare.

    Da tre anni Whitehouse propone un azione critica e progettuale totalmente indipendente e a costo zero attraverso il blog ma anche attraverso Exibart, Flash Art, Artribune, Facebook, Skype, Globart mag, Juliet, Tribeart,Cura Magazine e altri luoghi. Whitehouse ha innescato un dibattito critico che ha coinvolto anche il sistema a cui la Nomas Foundation partecipa...ed ecco che la Nomas Fountadtion ha CENSURATO agli occhi dei due esterni l'azione di whitehouse...questo atteggiamento non è diverso dal Berlusconismo a cui si vorrebbe RESISTERE...http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=37375&IDCategoria=241

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