Gola Profonda reloaded |

di - 9 Settembre 2005

Deep Throat (Gola profonda), uscito nel 1972, è un film spartiacque nella storia del cinema porno. A distanza di oltre trent’anni esce Inside Deep Throat, un make off di Randy Barbato e Fenton Barley sui retroscena del film e sulla sua protagonista.
Non va infatti dimenticato quanto le vicende della vita reale di Linda Lovelace (scomparsa nel 2003 per un incidente stradale) siano legate a quelle interpretate sulla scena. Lo documentano bene le controverse autobiografie, in cui sfruttamento e complicità si rincorrono e si invertono i ruoli, come tra servo e padrone. Selezionando alcune chicche dal ricco campionario stilato da Pietro Adamo, si scopre che il suo primo marito le insegnò la tecnica del deep throat servendosi dell’ipnosi e poi la iscrisse ad un concorso di sesso con asini in Messico, scampato all’ultimo momento (seppure qualche anno dopo girerà Dogorama). Se negli anni Ottanta vestì i panni di una convinta militante femminista in una crociata anti-porno, negli anni Novanta sembrò riconciliarsi con un ambiente di lavoro da cui non riuscì mai a liberarsi.
La sinossi di Gola profonda è semplice quanto efficace, come richiesto dal genere: Miss Lovelace, nonostante le sue relazioni con gli uomini, “non sente le campane suonare né esplodere i fuochi d’artificio”, per citare le sue parole. In altri termini, non raggiunge l’orgasmo e, come lo spettatore ha modo di giudicare, non è l’impegno a far difetto. Seguendo il consiglio di un’amica, consulta uno psicanalista, un personaggio che, grazie al regista Gerard Damiano, fa la sua prima comparsa nel mondo del porno. La seduta costituisce la parte più esilarante del film: il dottor Young, visitando la paziente a gambe aperte, si accorge dell’assenza del clitoride, nascosto, per un difetto congenito, in fondo alla gola. La rivelazione getta la paziente nella disperazione finché il dottore le suggerisce una terapia d’urto su cui si concentra il resto del film, con un refrain epico che –come una didascalia– esplicita la dimensione visiva: “Deep throat, you have a deep throat…”.
Da una parte, l’anomalia anatomica di Miss Lovelace è una forma di dissociazione e moltiplicazione del piacere fra una zona erogena clitoridea e una vaginale. Mentre Freud considerava la femminilità come il passaggio di sensibilità dalla prima alla seconda, il film mostra il percorso inverso, esaltando il misterioso climax clitorideo che –come un’esperienza mistica– apre la porta a immagini visionarie. Sottraendo “quel sesso che non è un sesso” (Luce Irigaray) alla passività, Gola profonda è insomma la storia della jouissance del coito femminile, senza le derive fallocentriche, tipiche del genere, per cui spetta all’uomo il ruolo di educatore e sopraffattore. Il film si inserisce così appieno nel clima di liberazione sessuale dei movimenti femministi. Un periodo in cui, per intenderci, un’attrice porno come Annie Sprinkle elabora una performance in cui, modellandosi i seni con due lunghi guanti neri, sostiene di mimare il movimento incessante tra yin e yang.
D’altra parte, tuttavia, questa de-territorializzazione degli organi sessuali si iscrive in una parabola che va da Duchamp al cinema di Cronenberg, passando per le bambole di Hans Bellmer, che considerava il corpo come una frase da disarticolare, come un inedito anagramma. Nel nostro caso la bocca e la vagina finiscono per congiungersi, per manifestare la loro reversibilità. Una confusione su cui il film indulge, mettendo fine all’alternativa che Jean Clair, parlando del mito di Medusa, ha così riassunto: aut vultus aut vulva. Unire gli opposti – compito alchemico quanto onirico.
Indimenticabile, al riguardo, la scena in cui Miss Lovelace, trasformata in una compiacente infermiera si introduce nel sesso un recipiente di vetro, riempito di Coca-cola, che il suo compagno beve attraverso una lunga cannuccia. La telecamera resta discretamente lontana, senza i primissimi piani con la telecamera a spalla, cui prima il porno e in seguito i registi di Dogma, primo fra tutti Lars von Trier, ci hanno ormai abituato. Si tratta dunque di una situazione dalle risonanze alchemiche, da vasi comunicanti, che si svolge sopra un tavolo rotondo. Su questo si affacciano statuine e fantocci che assistono muti alla scena e che somigliano a noi spettatori, curiosi e divertiti, ieri come oggi.

riccardo venturi


bibliografia
Pietro Adamo, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina, Milano, 2004, in particolare “Mitologie della violenza: Linda Lovelace e le sue storie”
Georges Bataille, Documents, Dedalo, Bari, 1974


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