HOSTRAVISTOXTE | SENTIRSI DIVERSI…

di - 27 Febbraio 2011
Prendiamo la più astratta di
tutte, la filosofia. Pochi sanno che non esiste più, almeno come insegnamento
accademico; come se il termine stesso di ‘filosofia’ così, puro e semplice,
fosse troppo sfrontato, troppo immodesto, insomma decisamente insostenibile per
i nostri “deboli” cervelli. Qualcosa che dovremmo vergognarci di “insegnare”.
Così, tra la scelta difensiva di mantenere una denominazione che appare
irrimediabilmente obsoleta e la scelta totalitaria di eliminare del tutto lo
studio di questa disciplina (se pure si può così definire), la nostrana
burocrazia ministeriale arriva alla sorprendente invenzione di “scienze
filosofiche”, che ci si immagina appunto più “seria”, più “scientifica”, più
soddisfacente almeno, anche se evidentemente ambigua, per non dire proprio
sibillina o, meglio, decisamente oscura.

Lamentarsi della scomparsa però
sarebbe inutile oltre che fuori luogo, dato che la filosofia, espulsa dal
novero dei saperi tradizionali, rispunta inopinatamente in strani altrove. Non
è soltanto la “filosofia” aziendale, o manageriale, che è ormai un classico – è
proprio un proliferare di autentici pensieri filosofici in tutti quei meandri,
in quelle zone laterali della cultura, in quei recessi della produzione di
massa, là dove non ci si potrebbe aspettare che esistano cose simili. Chi avrebbe
detto che la famosa definizione di Lacan dell’amore (“amare significa dare qualcosa che non si ha a qualcuno che non sa cosa
farsene
”) fosse destinata a spuntare fuori dalle labbra di Stefania Rocca,
in quel (semi)capolavoro del cinema italiano che è In principio erano le mutande (si riveda in slow motion il film chi
non ci crede)?

Non è così anche per l’arte?
Anch’essa, cancellata dal suo stesso prevedibile successo, resta spiazzata
rispetto a se stessa, alla sua storia, tradizione e identità, ma nondimeno
ricompare puntualmente come uno zombie da cui non ci si riesce a liberare,
proprio nel momento in cui chi ne celebra le esequie ricorrenti tira un sospiro
di sollievo – anche se sempre nel posto sbagliato. Mentre la politica diventa
sempre più un territorio di discussioni filologiche riservate ai pochi connoisseur, la gente comune litiga
furiosamente (e giustamente) per difendere i propri gusti cinematografici,
musicali, o anche direttamente artistici, e solide amicizie vanno in frantumi
come fragili imbarcazioni non appena si tocca lo scoglio di Damien Hirst.

L’”arte” non esiste più (“L’arte è finita. Smettiamo tutti insieme”,
come diceva Giuseppe Chiari) eppure, non appena ci convinciamo di questa
sparizione, ecco che risbuca dappertutto. Si assiste così a una strana
inversione di parti. Là dove l’arte dovrebbe essere conservata ed esaltata,
troviamo tutt’altro – magari si viene accolti dal personale di custodia che ci
applaude, oppure ci si trova a vedere un documentario sul Mar Caspio – mentre
là dove meno ce la si aspetta, ecco che la troviamo. Una delle mostre più
interessanti della stagione, La Fabrique
des images
, ad esempio, forse proprio perché ospitata al museo
antropologico del Quai Branly, è passata del tutto inosservata davanti ai
famelici occhi dei recensori di contemporaneo, eppure era, in un certo senso,
piena zeppa di arte contemporanea.

Innanzitutto conteneva
un’importante riflessione etno-antropologica sulla natura delle immagini;
suddivise in immagini analogiche (ossia realizzate per analogia col loro
soggetto), animiste (dotate di uno specifico potere magico), totemiche
(simboliche) e naturaliste (realizzate cioè come rappresentazione della
natura). L’impianto teorico era certo molto discutibile, ma la mostra non aveva
nulla da invidiare a una vera e propria installazione d’artista, dato che
paesaggi olandesi del XVII secolo erano bellamente accostati a sculture
totemiche africane, mentre maschere rituali Nuxalk (Nuova Colombia, Canada) e
busti romani del I secolo stavano a fianco di dipinti su corteccia aborigeni.
Di più, in parecchi pezzi esposti lo spirito del contemporaneo aleggiava con
forza, come nelle incredibili kachina hopi (bamboline rituali) che non possono
non ricordare quei pupazzi a metà tra cartone animato e oggetto vudù tanto in
voga fra i creativi contemporanei.

Il vero neo della mostra? La
totale assenza d’arte contemporanea, che a quel punto, fra tanti manufatti
antropologici, rituali, artigianali, ci sarebbe stata benissimo. Ma, visto che
l’arte non c’è più, è davvero un problema?

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canone inverso

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*articolo
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  • DIMMI SENZA NEGARTI
    chi sei?

    …fatti sentire nel verso roco
    dell'amore e di una pioggia in arrivo...

    Amore si
    Improvvisamente intimi
    Amore no
    Ognuno di noi conduce la propria sfortuna perfetta fortuna
    Amore mio
    È pur sempre il mare la scoperta inconscia di ogni artista
    Amore di più
    Prendi una via ansiosa e vieni verso me così bella come sei
    Amore di me
    Il sognar è di più che il tuo sogno inoltrato
    Amore lo sai
    Io amo saperti acquerello e magia nei capricci dell'umanità
    Amore dove sei?
    In capo al mondo presentami al tuo Mondo come un sospiro in coro
    Amore c’è e ci sarà
    Perché non si è mai stanchi di una certa golosa sciocchezza
    Amore parli con gli occhi
    Ed io ti assiduo
    Dimmi senza negarti chi sei?

    “Senza più rimedio
    Fermiamo queste stupidaggini
    Senza drammi e senza recite baciami sul collo
    Posami sul tuo letto in disordine
    E lì tra le lenzuola coltivami rosai di dolore
    Incollami ai tuoi propositi
    E fammi situare il tuo nome per mia memoria”

    Amore una storia
    Modificabile?
    No, è luce speciale di un incontro fra nubi e bufera
    Amore
    DIMMI SENZA NEGARTI
    chi sei?
    Amore altro e in corso
    Per tutto l’affondo di un profumo
    E carnagioni di energia indifendibile…
    Fra nubi e bufera.

    ©2011
    Maurizio Spagna
    e il giro del mondo poetico-
    http://www.ilrotoversi.com
    info@ilrotoversi.com
    L’ideatore creativo,
    paroliere, scrittore e poeta al leggìo-

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