“QUELLE SCULTURE SONO TUTTE FALSE”

di - 9 Marzo 2007

“Mi rincresce dire che le opere sono quasi tutte false perché fatte dopo la morte dell’artista sopravvenuta nel 2005“. Chi parla è Eric Girard-Miclet, direttore del Centro culturale francese di Dar es Salaam in Tanzania (Ministero degli Affari esteri) dal 2000 al 2004. Che prende di punta -senza mezzi termini- la retrospettiva di George Lilanga curata da Luca Faccenda e Marco Parri, in corso a Roma al Museo Hendrik C. Andersen, costola della Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
“Ho organizzato la prima grande mostra delle opere di questo artista in Tanzania nel 2001– prosegue Girard-Miclet – e poi le sue prime mostre in Francia (Espace culturel François Mitterand a Périgueux e al Palazzo di Città a Parigi). Ho lavorato con l’artista italiano Sarenco, grande scopritore e profondo conoscitore dell’arte africana contemporanea, per le mostre di Lilanga in Italia nel dicembre 2005 (Fabbrica Eos/Milano, Brescia, Napoli). I miei testi su Lilanga sono stati pubblicati su cataloghi editi da Le Festin/Bordeaux, Adriano Parise/Verona e Skira/Milano. Ho ben conosciuto Lilanga e lavorato con lui intensamente, mentre posso sostenere che i curatori dell’attuale mostra a Roma non l’hanno mai neanche incontrato”. Accuse pesanti e circostanziate, che rischiano di causare un vero terremoto. “Conoscendo bene l’ambiente artistico e culturale di Dar es Salaam so benissimo con quali banditi costoro lavorano per ottenere dei falsi. Ma la cosa più ignobile è che questi signori si dichiarano gli unici abilitati a certificare l’autenticità delle opere dell’artista, ciò vuol dire, per esempio, che le opere in mio possesso, acquistate direttamente da Lilanga, sono false e che i falsi dei sopraddetti sono invece veri. L’unica attestazione ufficiale che autorizza la pubblicazione di un catalogo ragionato delle sue opere è stata redatta da Lilanga prima della morte in favore di Sarenco, i primi tre volumi sono già stati pubblicati”.
Ne esce fuori l’impressione di un vero e proprio “Affaire Lilanga”, sottolineato con vigore anche dallo stesso Sarenco, più volte evocato da Girard-Miclet. Personaggio eclettico, poeta visivo, scrittore, editore, regista, grande viaggiatore. Ma soprattutto uno dei più affermati specialisti internazionali di arte e fotografia africana. Un pioniere, con al suo attivo un lungo elenco di studi e pubblicazioni sulle nuove forme della creatività africana, alla quale ha dedicato -quasi sempre in coppia con il critico Enrico Mascelloni– decine di mostre, fra le quali anche la recente prima edizione della Biennale di Malindi, in Kenia. “La cosa più grave commessa da questi due signori -accusa Sarenco- sta a mio parere nell’aver agito in un modo neocolonialista. Nel momento in cui l’arte africana esce dai ghetti dei villaggi ed entra in un mercato internazionale, essi si sono proposti in questa realtà senza averne competenza né legittimazione, con l’idea che l’arte africana sia ancora materia su cui nessuno possa controllare…”.
Exibart ha incontrato Sarenco e Mascelloni, per cercare di approfondire la questione…

Da quanto tempo conoscete l’opera di Lilanga?
Sarenco: Sono stato il primo a portarlo in Italia, facendo la prima mostra negli anni ‘90, poi sono stato il suo agente internazionale per una quindicina d’anni. Fu ospite spesso a casa mia a Verona, io organizzai molte sue mostre in Europa, e curai anche la sua retrospettiva alla Biennale di Shanghai nel 2000. Insieme a Enrico Mascelloni l’ho invitato a molte mostre come “Presenze” (1993) “Il ritorno dei Maghi” (1999), “Lilanga e altre storie dell’arte tanzaniana” (2002), “Hic sunt leones” (2006). Enrico ha introdotto il primo volume del catalogo generale, discusso ed elaborato insieme a Lilanga stesso. Ho anche curato il catalogo Skira di una recente mostra in tre gallerie italiane (Fabbrica Eos, Studio Brescia, Franco Riccardo). Insieme a Eric Girard ho organizzato molte altre mostre in Africa e in Francia.

Mascelloni: Dall’inizio degli anni ’90, quando sono andato a trovarlo con Sarenco nel suo studio di Dar es Salaam. Viaggio buona parte dell’anno in Africa e in Asia Centrale e tuttavia l’ho rivisto in più occasioni sia in Tanzania che in Italia. Ritengo il suo lavoro una delle poche grandi novità dell’arte degli ultimi vent’anni.

Qual è stata la vostra prima impressione su questa mostra romana di Lilanga?
S.: Posso dire che il 90% delle opere esposte sono false. A parte iI comportamento dei due curatori, quel che è peggio è che hanno trovato delle istituzioni che hanno accettato questa mostra senza le necessarie verifiche. È grave che la Galleria Nazionale d’Arte moderna, e quindi il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, offra patrocinio e spazi pubblici a una mostra fatta al 90% di opere false. Con testi scritti da due critici come Lara Vinca Masini e Renato Barilli, che non si sono mai occupati di arte africana. George Lilanga è uno dei più importanti artisti africani, e va rispettato come fosse Picasso.

Lilanga è morto nel 2005. Chi segue attualmente la catalogazione delle sue opere?
S.: Lui sottoscrisse un documento in cui incaricava me di curare il suo catalogo generale… In seguito la famiglia di Lilanga mi ha affidato la gestione internazionale dell’opera dell’artista, attraverso la fondazione Sarenco che ha incluso la fondazione Lilanga.

Siete a conoscenza di un mercato di falsi che riguardano George Lilanga?
S.: C’è un mercato di falsi a Dar Es Salaam, alimentato da questi due signori in collaborazione con un belga, Yves Goscinny, contro il quale Lilanga intentò un processo uscendone vincitore.

M.: Indagando a Dar es Salaam in collaborazione con Koster Lilanga (il figlio dell’artista), abbiamo rapidamente accertato sia chi gliele aveva vendute che chi le aveva falsificate. Accertammo anche che ne avevano vendute decine e forse centinaia a sprovveduti acquirenti italiani e svizzeri. Li denunciammo immediatamente per aver messo in commercio opere false di Lilanga, chiedendo il sequestro di tutte le opere in loro possesso, con ampia facoltà di prova in ordine alle truffe (come il documento in cui Lilanga li autorizzerebbe a fare autentiche) e ai falsi.

L’avvocato che se ne occupa è Fabrizio Dal Santo, peraltro noto collezionista d’arte contemporanea. Poiché la giustizia italiana non brilla per rapidità, possono comunque ben sperare di tirarla per le lunghe e poi sparire quando l’operazione non sarà più gestibile, lasciando ai loro collezionisti delle opere con cui possono ben arredare la cuccia del cane. Le collezioni che citano in catalogo per la maggior parte non esistono o fanno riferimento, in un caso, alla loro stessa società con sede a Montecarlo. Prendono tempo anche con esilaranti denunce a chiunque osi mettere in dubbio la loro autorevolezza. La mostra al Museo Andersen ha lo scopo di tranquillizzare gli acquirenti in subbuglio dopo le denunce fatte da Sarenco, dal sottoscritto e da Eric Girard (già Direttore dell’Alliance Francaise a Dar es Salaam), nonché di accreditare un’altra quantità di patacche. Non so chi li aiuti a tenere mostre da loro curate in spazi pubblici italiani…

Conoscendo l’opera di Lilanga, che idea vi siete fatti sulla genesi di questa mostra?
S.: Lilanga non ha mai conosciuto Luca Faccenda e Marco Parri, loro hanno in mano un documento estorto da questo belga a Lilanga quando questi era in coma, documento che il figlio di Lilanga, davanti all’ambasciatore italiano, ha sconfessato. Per capire l’approccio, basta guardare il catalogo: questi signori hanno addirittura cancellato dalla biografia tutte le mostre più importanti, organizzate da noi, non citando il libro più importante uscito su Lilanga, il primo titolo di una collana di Skira, intitolata African Collection, uscito nel 2006 e curato da me e da Enrico Mascelloni, la più grande monografia su Lilanga pensata insieme all’artista quando era ancora in vita.

M.: La mostra è ridicola e il catalogo è peggio. Peraltro è scritto con i piedi, ma rispetto al resto è un peccato veniale. Li ho conosciuti molti anni fa, quando organizzavano mostre per conto della Regione Toscana. Allora non avevano ambizioni curatoriali e dovendo organizzare delle mostre d’arte extraeuropea si rivolsero a Sarenco e al sottoscritto (i soli che allora si occupavano dell’Africa e dell’Asia contemporanee). Ci pagarono adeguatamente e ci lasciarono fare quel che volevamo. Poi sono spariti dopo una mostra d’arte indiana contemporanea che curarono loro stessi e in cui c’erano persino elefantini di giada di quelli che vengono venduti all’aeroporto di Delhi, nonché un’altra serie di opere che chiamare grottesche è dir poco. La mostra fu giustamente insultata anche da Tiziano Terzani. Riapparvero con la società “National Gallery”, che già nel nome dà bene il tono all’operazione che ci sta dietro…

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a cura di massimo mattioli

NOTA DELLA REDAZIONE: Premesso che i curatori della mostra retrospettiva di George Lilanga, in corso a Roma al museo Hendrik C.Andersen, contattati sull’argomento di cui all’intervista di cui sopra hanno dichiarato che le affermazioni dei signori Sarenco e Mascelloni sono assolutamente false e destituite di fondamento, aggiungendo che sono in essere contenziosi con i medesimi soggetti, premesso per altro che i suddetti curatori non hanno comunque voluto rilasciare intervista che la redazione di questo sito aveva offerto di pubblicare immediatamente nell’interesse della verità dei fatti, precisiamo che in ossequio al diritto e dovere di cronaca l’inchiesta di questo giornale nasce da una lettera inviataci dal signor Eric Girard-Miclet cui ha fatto seguito un’indagine sulle fonti della notizia, che originava da una segnalazione dello stesso Girard-Miclet, direttore del centro culturale francese di Dar Es Salaam in Tanzania (Ministero degli Affari esteri) dal 2000 al 2004. Si precisa inoltre che trattasi di intervista che riporta fedelmente il pensiero e opinioni dei soggetti intervistati, ma non contiene opinioni di questa testata, la quale si prende la responsabilità della sola corrispondenza fra quanto dichiarato dagli intervistati e quanto riportato nell’articolo-intervista; la veridicità del contenuto di esso è di esclusiva responsabilità di chi ha fatto le suddette dichiarazioni.

Sempre a disposizione in ossequio al raggiungimento della chiarezza sul punto, a offrire tutto lo spazio necessario per un’intervista ai curatori della mostra.

La redazione, e il direttore responsabile.


[exibart]

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  • GUGLIELMO
    Sto seguendo la polemica che sta crescendo contro la GNAM ed i falsi Lilanga della National Gallery esposti al Museo Andersen di Roma. Tra gli altri commenti ho notato in particolare modo il commento di Luca, collezionista di Brescia. Secondo Luca, le opere di Lilanga in suo possesso sono pubblicate ul primo volume del Catalogo Ragionato delle Opere di George Lilanga edito da Sarenco. Sul SECONDO volume del Catalogo Ragionato sempre edito da Sarenco, c'è la fotografia di GEORGE LILANGA che seduto in carrozzina tine sulle gambe il PRIMO VOLUME !!!
    Quale migliore prova testimoniale dell'Artista stesso fotografato con il PRIMO VOLUME delle SUE OPERE ????????????
    Secondo me, questa è la prova che GEORGE LILANGA avevva effettivamente incaricato e autorizzato SARENCO ad archiviare e Catalogare i suoi lavori.
    Tutti dubbi documenti che l'Avv. di Parri e Faccenda ci ha propinato tramite Exibart son stronzate.
    Quello che conta è la volontà di GEORGE LILANGA e la fotografia pubblicata con l'Artista che tiene in mano il Primo Volume del Cataologo Ragionato edito da SARENCO vale più di una sentenza del Tribunale !
    Secondo me SARENCO E la FONDAZIONE SARENCO sono i veri Autentici detentori della Eredità di George Lilanga ed i Sigg. Parri e Faccenda possono andare a nascondersi mentre i Funzionare della GNAM possono cominciare a sprgere cenere.

  • Sono un piccolo collezionista e sto seguendo la lunga diatriba circa le opere di Lilanga che a mio parere comincia a diventare grottesca. La questione, secondo me, non è tanto quella dei falsi (nel mondo dell'arte i falsi sono all'ordine del giorno) ma il fatto che chiunque afferma che le opere dell'altro sono false. Ad oggi abbiamo Rosenfeld, Lorenz, Fossil Art, Sarenco, National, Real African Art di Zanzibar, che rilasciano autentiche di Lilanga. Era normale che prima o poi qualcuno prendesse le vie ufficiali per essere il punto di riferimento di un artista e National, stando ai documenti, è l'unica che ci è riuscita.
    A questo punto è partita la faida e,Sarenco in primis, ha cominciato a screditare National a partire dalla mostra presso Gnam, affermando che sono tutte opere false. Francamente non credo che questo sia possibile e credo ancora meno plausibile che, viste le possibilità della National, abbia organizzato una mostra con dei falsi.
    Se andiamo a vedere la risposta di National attraverso i legali, notiamo che sono stati pubblicati tutti gli atti notarili volti a sancire la loro idoneità per l'autenticazione delle opere. Sarenco invece, da quello che ho potuto riscontrare, ha organizzato mostre, scritto libri, conosciuto Lilanga, ma non ha nulla di ufficiale per poter dire che solo lui ha la facoltà di autenticare le opere. Dal momento che la questione delle autentiche è sempre stata annosa e molto remunerativa per qualsiasi artista, i suoi eredi, e per chi ne cura l'archivio, Lilanga ha scelto National (i documenti parlano chiaro) e Sarenco, che magari ha conosciuto molto tempo prima Lilanga, è rimasto a bocca asciutta e non ne è rimasto contento ...........

  • Sono un piccolo collezonista italiano un po' triste.
    Io i notai li adoro, se loro certificano, io mi fido, ecco...

  • Bene Gianni, lungi da me dare giudizi, ci penserà chi di dovere. Basandomi su ciò che leggo qui sopra, non è che solo la National Gallery abbia dei documenti in mano, questo è ciò eventualmente la giustizia dovrà giudicare.
    Quello che è spaventoso è che di fronte alla possibilità che sia stata allestita una mostra con queste caratteristiche, l'Ente organizzatore, a fronte dell'utilizzo di fondi probabilmente pubblici, non abbia ancora emesso nessun comunicato.
    Le mostre sono fatte per arricchire il livello culturale di chi le va a vedere. Pensare di visitare un qualcosa di artefatto, non mi sembra un approccio corretto e rispettoso, nei confronti del pubblico che utilizza un tale servizio.
    Perciò riassumo ancora una volta il mio punto di vista:
    1) Che i giudici giudichino
    2) Che gli organizzatori diano la loro versione della vicenda ( perchè se uno ha fatto le cose correttamente non può serenamente spiegare il suo punto di vista?).

    I contendenti si possono anche scannare, la Gnam DEVE rispondere, non può nascondersi dietro a paraventi di comodo o prendere tempo a cercare magari delle soluzioni politiche.
    Se ha sbagliato qualcuno deve prendersi le sue reponsabilità.

  • io non saprei riconoscere un autentico Lilanga da uno falso,anzi guardandoli a me piacciono tutti e due e non so quale sia il vero e quale il falso.ma se il vero costa molto compero il falso, e non è più brutto...
    l'opera d'arte deve darti emozione e non valore economico. Chissà quanti hanno scritto su questo caso e quanti in realtà non hanno visto ne uno ne l'altro.Io non cerco il feticcio da amare, ma l'opera da guardare e non il nome da leggere....

  • Mentre questa disputa va avanti ,il collezionista che vuole acquistare un'opera di Lilanga come si deve cautelare e sperare di aver preso un 'opera autentica?che tipo di autentiche devono avere le opere?
    Grazie

  • Rispondo al Sig Eugeni Carlo di Abbadia San Salvatore.
    La disputa è terminata con la condanna ed INIBIZIONE della National Gallery Firenze!
    Il Giudice ha stabilito che unica Figura Giuridica Autorizzata ad Autenticare, Catalogare ed archiviare le opere di GEORGE LILANGA è la FONDAZIONE SARENCO
    indirizzo: fondazionesarenco@libero.it
    alla quale puoè rivolgersi, come ho fatto io per avere tutte le informazioni necessarie.
    Auguri!

  • Come neo collezionista di Lilanga rimango letteralmente sconcertato dall'increscioso contenzioso che si è venuto a creare. Pur possedendo un'opera con la sola autentica di cpt Felix, e considerato che la National Gallery chiede 750€ (e non 400€) per l'archiviazione e autentica, concludo che alla luce di questi fatti mi tengo l'opera così com'è! Magra consolazione ma nell'incertezza preferisco che sia il tempo a dire la parola FINE a questa schifezza!

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