Riso Amaro

di - 11 Gennaio 2012
Non è stata un’abile mossa la comunicazione della chiusura di Riso, il Museo di Arte Contemporanea di Palermo, annunciato con un asciutto comunicato stampa dalla direzione ieri pomeriggio. L’ennesimo pugno in faccia alla cultura, dato senza badare a cifre, consenso, per non parlare della politicamente abusata parola “territorio”. Un annuncio che si è trasformato in un potente boomerang che ha unito cittadini, appassionati e addetti ai lavori e che ha costretto i politici ad un imbarazzato dietrofront. I dodici milioni (sui sessanta ricevuti dall’Unione Europea per i Beni Culturali dell’isola, sbloccati la scorsa primavera) destinati al virtuoso museo di Palermo, che nel 2009 ha contato più di centomila ingressi, ieri sera sono miracolosamente riapparsi all’orizzonte dopo che, poche ore prima, si erano dissolti a favore di “casi culturali” senza rilevanza o addirittura, come riportato sul comunicato stampa diffuso e firmato dai “cittadini per Palazzo Riso”, destinati a tornare nelle casse europee come “spesa non effettuata”. L’ennesima pessima performance quanto a gestione di fondi UE di cui la Sicilia beneficia abbondantemente senza però riuscire a mettersi d’accordo su come spenderli.
Uno dei motivi dell’affossamento della pregevole struttura era il progetto (non richiesto dalla direzione) di sopraelevare di due piani l’edificio di Corso Vittorio Emanuele. Per quale motivo? Mistero. Forse gli appetiti per il cospicuo bottino spartibile tra appalti e politica.
Responsabili del gestaccio sono Gesualdo Campo, Dirigente Generale dell’Assessorato dei Beni Culturali della Regione Sicilia, e il Presidente della Regione Raffaele Lombardo, che però si affretta a parlare di «bufala» e se la prende con chi diffonde certe notizie! Ma la presa di distanze non basta a fermare il comitato sorto subito spontaneamente “I cittadini per Riso”, che chiede di fare chiarezza sull’iter burocratico che blocca il finanziamento previsto dal prossimo Febbraio.
Gianfranco Micciché, oppositore della giunta Lombardo, parla i questi termini: «è la follia, quella degli ignoranti, degli improvvisati, degli irresponsabili, la follia dei banditi della Regione siciliana. La banda Lombardo-Armao & C. ha colpito ancora. Faremo barricate in Aula, scenderemo in piazza se servirà, metteremo le tende sotto il covo di questi banditi della politica e non ce ne andremo da lì almeno fino a quando non avranno il coraggio di togliersi il passamontagna dalla faccia e presentarsi ai siciliani, spiegando le vere ragioni della chiusura». Pronto alle barriccate dunque, contro la libertà di chiudere a piacimento un’istituzione come Riso che, afferma il direttore di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello, «È stato perno di uno delle pochissime attività internazionali svolte in Sicilia».  Apparentemente sul piede di guerra anche l’assessore regionale ai Beni culturali Francesco Missineo, che assicura che i fondi, già registrati alla Corte dei Conti sono inamovibili, sperticandosi in un «se Lombardo chiude il museo lo riaprirò io» e prendendosela con il direttore di Riso Sergio Alessandro che «non mi ha mai manifestato il suo malcontento e ha diramato un comunicato senza concordarlo». Possibile che Alessandro si sia messo una bomba in casa? E perchè? Come se non ci fossero altri problemi di cui occuparsi in Sicilia.
Vogliamo parlare di sprechi, visto che il comunicato incriminato parla di mancanza di fondi e di mezzo c’è il malloppo milionario? Ricordiamo, allora, che la Sicilia ha un’assemblea regionale dove i membri percepiscono stipendi che vanno dai tredicimila euro mensili netti del Segretario Generale ai seimila dello stenografo, fino agli oltre tremila degli assistenti. Non basta? Ok, diciamo anche che la regione è ancora Obiettivo 1 nella scala UE e quindi destinataria di fondi speciali, non solo per la cultura. Ma per esempio anche per finanziare una melensa campagna pubblicitaria che decanta le bellezze dell’isola che si vorrebbe immobile o, al massimo, gattopardesca.
Venendo alla cultura, è bene sapere che Riso aveva già approvato un piano per diventare Fondazione e aveva l’ambizione di creare un museo diffuso che comprendesse anche le altre eccellenze dell’isola: Gibellina, Fiumara d’Arte e il museo di Montevergini di Siracusa, altra spina nel fianco per il contemporaneo, praticamente chiuso da anni dopo il mancato rinnovo del contratto a Salvatore Lacagnina.
E non basta. L’affaire Riso arriva a tre giorni dalla mobilitazione per il ripristino dei Cantieri Zisa, altro esempio di immane sperpero di denaro pubblico, che da affascinante polo culturale che aveva vissuto un periodo di splendore negli anni novanta, è stato abbandonato, arrivando allo stato di degrado attuale. Per l’occasione, dal 6 al 9 gennaio scorsi, si sono mobilitati non solo più di cento artisti e un cospicuo numero di cittadini, ma anche settanta tra associazioni ed esercizi commerciali presenti sul territorio.
Insomma, c’è da scommettere che questa storia di Riso non sarà digerita facilmente dalla popolazione cittadina e della Sicilia in genere, che avevano visto nel museo l’occasione di un felice riscatto.
Ci auguriamo che quanta più gente possibile aderisca all’assemblea di Venerdì 13 gennaio, dove si invita tutta la popolazione di Palermo per mobilitarsi ulteriormente per Palazzo Riso.
Matteo Bergamini

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