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pre[ss]view_riviste | Artel

di - 29 Febbraio 2008
In epoca di telesorveglianza, telepresenza e infinite altre declinazioni della distanza, le tecnologie subiscono spietatamente le dinamiche del rinnovamento. Così, ciò che pareva essere l’avanguardia più spinta, nell’arco di pochi anni (addirittura mesi, ormai) diventa obsoleto, “roba da museo”. Con il corollario che, non avendo temporaneamente necessità di alcune prestazioni, molti di noi obliterano completamente intere categorie di oggetti più o meno hi-tech.
Nel caso di chi scrive, e di molti suoi coetanei, questo destino l’ha subìto la vague anni ’80 del fax. Quel facsimile teletrasmesso che, in fondo, era nient’altro che una fotocopia- o, meglio, una scansione -inviata a distanza, sfruttando le linee telefoniche. Scarse le possibilità grafiche, a causa della necessità di attestarsi sul bianco e nero, mentre grande attenzione andava riservata alle immagini, altrimenti il destinatario si trovava in mano una macchia antracite e nulla più, e sicuramente meno inchiostro (perché lo “spam” via fax comportava non soltanto la perdita di tempo, come nel caso delle email, ma pure di colore e carta.)
Proprio mentre cominciava a diffondersi l’utilizzo della rete, e quindi la tecnologia del telefax era al suo apice, in attesa di una vertiginosa discesa, nasceva “Artel”. Diretta da Ludovico Pratesi, che nel frattempo aveva concluso l’esperienza all’interno di “Opening”, era la prima rivista d’arte ad avere una cadenza quindicinale. Ma, soprattutto, era e sarebbe stata l’unica a essere distribuita via fax, almeno negli intenti e come approccio editoriale. Anche se, naturalmente, non mancavano coloro che, in seconda battuta, la fotocopiavano e la redistibuivano.
Il primo numero usciva nel 1995, precisamente il 1° maggio. Va da sé che si trattava di poche pagine, a orientamento orizzontale, prive di immagini, in bicromia e con un impianto grafico essenziale. Un’esperienza che, ricorda Pratesi, “sembrava davvero una delle tante avventure effimere, un progetto folle che non avrebbe mai avuto futuro, destinato ad esaurirsi dopo qualche mese”. Invece, continua Pratesi nell’editoriale del primo numero del nuovo corso di Artel, “le cose sono andate diversamente, di numeri ne sono usciti ben ottantacinque”. Fino a quando, nel luglio del 1998, la rivista si è presa un anno di tempo, per riflettere sul proprio futuro.

Intanto l’impresa era cresciuta notevolmente. La redazione capeggiata da Claudia Colasanti aveva coinvolto e fatto crescere una rosa importante di collaboratori, che di lì a poco sarebbero diventati figure di rilievo nel panorama critico, curatoriale e più generalmente intellettuale italiano. Bastino gli esempi del gruppo torinese a.titolo, dell’allora sfuggente e situazionista Luther Blissett, dell’incursore Pino Boresta. I numeri monografici permettevano altresì di raggiungere almeno due obiettivi. Da un lato, ampliare gli spazi talora angusti dell’arte contemporanea e della sua critica, “sfondando” nei contigui àmbiti della nightlife (Clubbing) o della politica (Speciale ‘70/’90) Dall’altro, creare l’occasione per sperimentare e dispiegare tecniche scritturali, stili e retoriche che abitualmente non si leggono sulle riviste specializzate del settore. In questo senso, restano memorabili i numeri dedicati alle memorie di Indigestioni, con una pagina dedicata al Natale 1997: la grande abbuffata, sulla quale scorrevano le interpretazioni più o meno letterali dell’abbuffata stessa; e, soprattutto, l’ammiccante numero 69, dedicato all’Eros, con gli spassosi pezzi di Luca Beatrice (Sesso e critica. A new way? ) e Barbara Martusciello (Quel giorno che Andres mi chiese di fare pipì…).
Per quanto riguarda la critica d’arte, va ricordato l’utilizzo dei simboli adoperati accanto alle segnalazioni delle mostre, alla maniera della critica cinematografica: su una scala di cinque punti, andante da “esplosivo” a “mortale”. Seppur sporadico, uno spazio interessante era riservato alla polemica, anche quando rivolta al giornale stesso. Esemplare in questo senso il lungo articolo di Viviana Gravano scritto in punta di stile(tto) all’indirizzo di Luca Beatrice, Gianluca Marziani e, soprattutto, Cristiana Perrella, collaboratori più o meno fissi di “Artel”. L’indubbia centralità che rivestiva Roma nel progetto non impediva ovviamente incursioni nel resto dello Stivale e all’estero, per esempio in occasione della celeberrima mostra londinese Sensation, recensita doppiamente da Claudia Colasanti e da Myriam di Penta, oppure del Grand Tour 1997, stroncato con acume ancora da Colasanti.
Coincide pressapoco con la pausa di riflessione di “Artel” l’apertura dello spazio Futuro open-up, fondato da Delphine Borione, Ludovico Pratesi e Costantino D’Orazio, la cui programmazione espostiva era coordinata dall’infaticabile Colasanti. Intanto il formato della rivista subiva un processo di ibridazione, con la possibilità di abbonarsi via e-mail e di ricevere “Artel” in formato pdf. Dopo un anno di sospensione, si giunse infine alla seconda serie, che consta di due numeri soltanto. Il primo ancora diretto da Pratesi, il secondo con la condirezione di Claudia Colasanti -divenuta nel frattempo editor della collana “Arte” di Castelvecchi-affiancati in redazione da Laura Liotti e Riccardo Venturi. Dal fax al libro, dalla cadenza quindicinale a quella “trimestrale” (giugno e novembre 1999), dall’“iconoclastia” alla presenza di immagini (sempre però in bianco e nero). E, dal punto di vista dei contenuti, molti articoli di approfondimento (ad esempio l’intervista di Pratesi a Perniola sul Situazionismo), interviste e autoritratti, oltre ai focus tematici (Arte & Politica, Nuove tecnologie, Notte) e ai fumetti di Cuoghi & Corsello.
Con l’avvento del nuovo millennio si conclude la vicenda di “Artel”. “Un’esperienza pioneristica straordinaria”, dichiarava qualche tempo fa Claudia Colasanti a Exibart, “che mi ha permesso di mescolare temi, modalità e tendenze di un mondo giovanile che voleva emergere”.

marco enrico giacomelli


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 47. Te l’eri perso? Abbonati!

[exibart]

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