Humans, quando gli oggetti diventano un ricordo: la mostra a Campobasso

di - 29 Dicembre 2025

Allestita presso il Circolo Sannitico di Campobasso fino al 31 dicembre 2025, HUMANS si configura come un’installazione stratificata e intima, che tesse un dialogo tra fotografia, immagine in movimento, suono e parola, innescando un unico dispositivo esperienziale. La mostra si inserisce all’interno di Welcome Home | foto & art days |, il festival di fotografia e arte ideato e curato da Mino Pasqualone, volto alla promozione culturale e artistica del territorio molisano, che in questa occasione trova una declinazione fortemente autobiografica e riflessiva.

Che cosa resta dell’umano quando la voce si interrompe, quando i luoghi si svuotano, quando la memoria diventa l’unico spazio abitabile? L’origine concettuale di HUMANS è un quesito semplice ma ineludibile, «Cos’è per voi l’umanità?», che si dispiega in un attraversamento personale, un ritorno nei luoghi della memoria familiare dell’autore, Mino Pasqualone, dove l’umano emerge nella sua forma più fragile, preziosa, quotidiana.

Il cuore di HUMANS pulsa in due nuclei principali: l’esposizione fotografica 482540 e la proiezione video su teli di garza sospesi, che conducono lo spettatore in un percorso immersivo, invitandolo a confrontarsi con la propria intima memoria. La scelta del materiale diviene, in questo senso, parte integrante dell’esperienza: la garza introduce una dimensione di permeabilità e sospensione. Ciò che viene mostrato non è mai del tutto afferrabile ma resta in bilico tra visione e ricordo, tra ciò che è stato e ciò che non tornerà ma che continua, ancora, a riaffiorare.

Centro emotivo e simbolico della mostra è un antico telefono, che ripetutamente squilla senza mai risposta e che mira a ricordare la casa, il tempo che corre, il legame familiare come archivio fragile, impregnato di ogni esistenza, e la quotidianità come dimensione di ricchezza. Diventa, così, una reliquia sonora e affettiva, testimone di assenza/presenza, voce/silenzio, memoria/scomparsa. Il suo squillo risuona, di tanto in tanto, in tutti gli spazi della mostra e si fa esistenza muta e insieme viva, che simboleggia una comunicazione ormai inesistente, colma di mancanze, ma che custodisce la persistenza di legami che vivono nel ricordo di dimensioni ormai passate: qui, la cornetta non serve più a chiamare ma a ricordare.

Le fotografie in esposizione, in bianco e nero, essenziali ma dense di significato, chiariscono ulteriormente questa tensione, mostrando la casa e gli oggetti che più ne fanno un organismo vivo, attraversato dalla pienezza e poi svuotato. Le tracce scelte e catturate – tra cui un ferro da stiro, una vecchia divisa, un rossetto – diventano testimoni silenziosi di un tempo condiviso, sopravvivendo nella loro interezza alla scomparsa dei corpi e delle voci che li hanno abitati. In questo senso, la fotografia non è mera documentazione, ma interviene come atto di ascolto e condivisione, uno strumento per riconoscere e custodire ciò che resta.

La sala più grande di HUMANS si apre allo spettatore come uno spazio sospeso, in cui le immagini scorrono leggere sui teli di garza, come apparizioni, flashback della mente, restituendo frammenti di vita domestica, cerimonie, feste di famiglia, presenze e gesti minimi. In questo luogo la casa smette di essere semplice spazio fisico e diventa soglia: un ambiente in cui l’umanità non è un concetto astratto, ma una pratica fragile e ripetuta, silenziosa ma costante.

L’installazione di frasi comuni, pendenti dal soffitto, mette in luce tracce dialogiche che diventano qui testimoni affettivi. L’aura che le circonda amplifica il loro peso, rendendo ogni parola un segno di cura e presenza. Sul pavimento un’altra scritta – «Chiedilo al vento cosa gli ho detto di te» – invita lo spettatore a un gesto fisico di attraversamento: percorrerla significa accettare la precarietà della memoria, la sua natura impalpabile, affidata a ciò che non può essere trattenuto.

L’intero ambiente convoca a un’esperienza immersiva, le immagini autobiografiche diventano strumento attraverso cui l’autore invita a una profonda riflessione. Qui si riconosce che l’umanità non risiede nella permanenza ma nella relazione, nel tentativo e nel desiderio di dire, anche quando non c’è più nessuno da ascoltare.

HUMANS non offre risposte, si muove piuttosto in quella zona fragile in cui la perdita e l’amore coincidono, dove la mancanza diventa misura dell’intensità dei legami. In questo spazio sospeso, fatto di immagini impresse e parole essenziali, la mostra restituisce all’arte il suo ruolo più necessario: quello di farsi luogo di ascolto, di rallentamento, di riconoscimento dell’umano nella sua forma più vulnerabile.

Ad arricchire l’installazione, un palinsesto di eventi che ha spaziato dalla danza alla musica, dal teatro al cantautorato, e che si concluderà il 30 dicembre, invitando gli spettatori all’appuntamento di giugno 2026 con una nuova sezione di Welcome Home.

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