Il più antico significato della parola “improvvisare” è dare forma al tempo; o meglio, agli imprevisti che il tempo ci presenta. La musica, dal canto suo, è l’unico campo semantico in cui questa parola ha anche una sfumatura positiva. Ci si può improvvisare esperti in vari ambiti, ma solo un buon musicista sa improvvisare. Allo stesso modo, Sylvano Bussotti ha dato una forma specifica alla sua dipartita da questo mondo. Oggi, 1 ottobre 2021, avrebbe compiuto 90 anni e grande era il fermento per questo anniversario. A Firenze, sua città natale, era stato appena celebrato con “90 Bussotti”, cinque giorni di incontri, mostre e concerti. A Roma, all’Auditorium Parco della Musica, questa sera sarà la volta del PMCE – Parco della Musica Contemporanea Ensemble, nell’ambito di un concerto per il Romaeuropa Festival. Sarà certo un compleanno, ideale e speciale.
Eppure, l’improvvisazione meglio riuscita è stata quella che ha colto tutti d’anticipo, ben prima di questi rintocchi di anniversari. La Quadriennale 2020 (che doveva aprire i battenti in quell’anno infausto), aveva adescato la genialità immaginifica di Sylvano Bussotti con un moto molto precoce. Poi, gli eventi hanno avuto la meglio e la mostra ha praticamente aperto al pubblico nel 2021. Per questo, oggi, vogliamo rivolgere qualche domanda al suo curatore, Stefano Collicelli Cagol. Insieme a Sarah Cosulich, ha invitato Bussotti a far parte del progetto espositivo “FUORI” conclusosi da poche settimane al Palazzo delle Esposizioni.
È la prima volta che Sylvano Bussotti ottiene un riconoscimento fuori dall’ambito musicale?
«C’era stata, nel 2010, la mostra “Corpi da musica. Vita e teatro di Sylvano Bussotti“, organizzata al Museo Marino Marini Firenze da Luca Scarlini. Poi, nel 2013, una mostra alla Fondazione Mudima, dove Bussotti però era più in veste di musicista. La Quadriennale ha la capacità di iscrivere il suo percorso umano e professionale in una storia che ha un peso specifico differente».
Perché, a tuo avviso, Sylvano Bussotti è stato un artista “FUORI”?
«È “fuori” perché ha avuto una formazione molto legata alle arti visive, attraverso lo zio pittore; poi, ha portato tutto questo nel mondo della danza e della musica.
Inoltre, per la sua poliedrica attività: Bussotti è stato compositore e interprete, pittore, letterato, scenografo, regista, costumista e attore. È andato oltre l’idea di una disciplina. Ma corpo e desiderio erano sempre nelle sue realizzazioni e si è confrontato anche con temi poco battuti al tempo. Parlo della sessualità, dell’erotismo, del racconto della comunità omosessuale in cui viveva».
C’è anche dell’altro?
«Beh, Sylvano Bussotti è riuscito a tessere legami collettivi unendo mondi diversissimi. Eco, Guattari, Deleuze, Stockhausen erano i suoi interlocutori quotidiani; ma alla Biennale Musica del 1991 portò Moana Pozzi».
Parlaci di un episodio che ha a che fare con la sua vita in ambito artistico.
«Nel 1962 Sylvano Bussotti e Giuseppe Chiari lavorarono in veste di curatori alla galleria di ‘Numero’ di Fiamma Vigo. Organizzarono la mostra “Musica e Segno“, dove esposero partiture come opere d’arte. La musica d’avanguardia si trovò particolarmente a suo agio nello spazio bianco della galleria. Tra le altre, furono esposte partiture di John Cage – molto amico di Bussotti – George Maciunas e Nam June Paik».
Qui il programma di sala dell’Omaggio a Bussotti nell’ambito del Romaeuropa Festival.
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