L’estro degli stilisti, l’ebbrezza dei tifosi di rugby, studenti ed insegnati scesi in piazza per gridare le proprie ragioni, vecchi dell’alta borghesia che si abbuffano ai ricevimenti: sembrano foto di famiglia di un popolo minuto e scomposto, spesso allucinato. Lo sguardo di William Klein è, d’altra parte, acido e dissacrante, curioso ed entusiastico. La sua ironia è sotterraneo indizio di una fascinazione fisica ed intellettuale che egli prova per Parigi. Mi ritrovo
Le oltre cento fotografie esposte sono accompagnate da chiassose didascalie, offerte ad inizio percorso, che raccontano emozioni e retroscena di ogni ritratto, svelandone la natura narrativa. Il lungo serpentone di scatti alterna fotografie dalle linee nette, perfettamente delineate e fisse, ad immagini in un continuo movimento, frenetico e coinvolgente, come la carnevalata da strada a Saint-Denis; il bianco e nero fa staffetta con colori vivaci. Ma l’accostamento non è così casuale come può sembrare inizialmente. Spesso, infatti, esso è mirato a scarnificare la realtà, esternando quell’aspetto grottesco che fuoriesce proprio nell’affiancare scene estremamente diverse l’una dall’altra: coppie opposte, in cui sono la spontaneità e la trasgressione a spuntarla.
La tematica delle fotografie passa con disinvoltura da manifestazioni di sessualità sfrenata e gioiosa, nella sfilata del Gay Pride del 2000, alla descrizione rispettosa ed attenta del dolore per la morte di personaggi noti come Thorez e Montand. Ed è proprio il manifestare del polifonico e variegato popolo parigino, il comun denominatore delle fotografie. Le esternazioni dell’io sociale di magrebini, armeni, cinesi e brasiliani sono considerati da Klein parte integrante della cultura francese, tanto che la sua scelta dei soggetti da ritrarre risulta fondamentalmente opposta a quella della precedente tradizione fotografica che
Klein indaga il comportamento, la psicologia delle masse, che dirompe nelle strade del centro, nei bar di periferia, nei campi nomadi e fuori dalle discoteche. Alcune fotografie evocano una trasandatezza ricercata, rifuggendo dall’evidenza delle pose, dall’artificiosità inseguita in nome dell’estetica pura, in altre, invece, quelle commissionate da Vogue, vige la regola geometrica dei corpi, il contrasto che coinvolge, pur in sordina, il genio della casualità. Domina comunque, in entrambi i filoni, il desiderio documentaristico: Klein scandaglia il reale anelando a quella condivisione di sguardi che rende anche la bruttezza, la volgarità esplicita e tutti quegli aspetti scomodi e ripugnanti, tasselli essenziali del mosaico quotidiano. Una sfida artistica contro la visione parcellizzata della realtà.
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