Al primo approdo nella Città Eterna di Jannis Kounellis (Pireo, Grecia, 1936) può essere attribuito un significato simbolico. Avvenne durante un Capodanno, quello del 1956, con la lucida intenzione di dare materialmente inizio ad una nuova vita, imprimendo una svolta radicale a quella precedente. E così è stato. Basti pensare alla sua lunga e fertile attività artistica che, dalla prima mostra nel 1960 nella galleria La Tartaruga, lo ha portato in prestigiosi musei e importanti gallerie internazionali (senza dimenticare la partecipazione a ben sette edizioni della Biennale e a due di Documenta). Con chiarezza si percorrono le sue svolte. Dall’iniziale ricerca di “una direzione”, è giunto all’atto unico, assegnando definitivamente tridimensionalità alla sua ricerca pittorica. Dalle prime tele monocrome (nelle quali c’è un certo fascino per l’automatismo gestuale, soprattutto di Cy Twombly) su cui campeggiavano lettere, numeri, segni direzionali, estratti dal contesto urbano, attraverso l’utilizzo di materiali di recupero rientra nel gruppo degli artisti che danno vita all’Arte Povera. Per avvicinarsi poi all’Arte Informale di Burri e Fontana, trasformando gradualmente la sua pittura in scultura. Anche i materiali e gli oggetti usati da Kounellis, dotati di un forte legame col quotidiano, sono ricchi di significati simbolici (in parte anche derivanti dalla sua passione per l’alchimia): terra, oro, carbone, pietre, caffè in polvere, fuoco, mobili, mensole di ferro, sacchi di juta. Guidato principalmente dall’
In quest’installazione, pensata per lo spazio di Valentina Bonomo a Roma, tutto è in perfetto equilibrio: la composizione, il colore, l’emozione. E si ritrovano molte delle sue cifre stilistiche: un binario (ad evocare i materiali di fattura industriale che indicano la riproducibilità in serie di un oggetto), piante vive (in questo caso dei fiori), mobilio. Un binario, col suo plumbeo grigiore, che non corre più parallelo all’infinito: nel punto in cui si incontrano le rotaie, un mazzo di fiori gialli rimane schiacciato dal peso del metallo. Fiori messi di fronte a tre brandine, completamente fasciate con lunghe bende intrise di vernice rossa. Sangue. E in un luogo, che è il cuore dell’antico ghetto, quei binari non possono non richiamare altri macabri e vergognosi binari, che portavano invece nel cuore delle atrocità. Le brandine, che sofferenti hanno ospitato membra martoriate, a formare un triangolo (o la triade?), sono impregnate dal sangue sacrificale, inutilmente sparso. La vita, dei fiori, e la morte, del binario, convivono nella continua riflessione storica di Kounellis, nuovamente a confermare la precarietà, l’essere in bilico del presente.
daniela trincia
mostra visitata il 14 febbraio 2006
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