Cosa è cambiato tra il 1975 e il 2006? Due opere si interrogano e si osservano reciprocamente mentre Flavio De Marco (Lecce, 1975; vive a Roma) le colloca nello stesso spazio. A dialogare con una finestra, che non a caso è il cardine della ricerca intrapresa da cinque anni sull’analisi semantica di copia e modello.
La risposta è nella specularità. La cornice è la quarta parete dell’ambiente, ma funziona come uno spazio-diaframma. “Finisci la mostra con il corpo e la vedi con gli occhi. Cammini e guardi nello spazio in cui non puoi andare”, sottolinea l’artista. Ne scaturiscono due mostre accoppiate: una calpestabile e una esposta. Ovvero un’installazione dove convivono un wall-painting e un dipinto di grande formato con l’opera Mimesi di Giulio Paolini riflessa in uno specchio inesistente, reso materico dalla forza dell’esecuzione.
Quarto di una serie di Mimesi presentate nel 2004 e 2005, questo lavoro nasce con l’intento di ritrovare sé stesso nel presente di un’opera il cui processo creativo, tra le varie risorse, attinge dichiaratamente all’approccio più mentale dell’Arte Povera. Nel trentennio che separa le due opere, Flavio De Marco attua uno spostamento di prospettiva affatto cerebrale ma realista (anche a livello percettivo, concreto).
C’è un attimo in cui le luci si toccano: la stessa luce ha la stessa prospettiva, in scala 1 a 2, esatta. La percezione di spettatore le tiene aderenti, poi si allontanano di nuovo. La tela torna ad essere rappresentazione e la realtà torna a fare la realtà. La foto è stata scattata 16 giugno alle 7.03 della sera e la mostra andrebbe vista a quell’ora. La foto della persiana di fronte allo studio Casagrande stampata da plotter centra il punto esatto della finestra sulla tela di 2×5 metri. Intorno sono dipinte le medesime schermate del sistema operativo di un pc scevre di testo che si affollano nel wallpainting sul muro di sinistra. L’effetto fuori registro totale va percepito a distanza.
Dato il concetto classico di mimesi, esiste un luogo da sondare, realizzato durante mesi di preparazione. Un lavoro di costruzione nato nel 2005 rende l’opera site-specific una riflessione sull’eredità presente del primo Paolini al cui lavoro altri giovani artisti italiani tra cui Pietro Roccasalva, Roberto Ago, Alessandro Dal Pont, Lucia Uni e Luigi Rizzo tuttora guardano con slittamenti differenti ma ugualmente affascinanti.
La finestra vera si porta tutto il dipinto verso la realtà. Sulla tela formalmente è una sporcatura perché, essendo una foto, non si integra al dipinto, mentre la drammaturgia della prossimità fisica pone il problema dello sguardo tra le due opere con lo stesso titolo. L’opera di Paolini è un ritratto al ritratto. Il lavoro di De Marco sul paesaggio trapassa l’atto artistico alla ricerca di un nuovo orizzonte possibile. Per trasferirlo dalla tela all’ambiente e di nuovo sulla tela, con un effetto impossibile da tradurre in una recensione.
La parte di mostra solo apparentemente mancante è l’occupazione dello spazio. Visitatela.
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