Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia a Roma dal 1666, accoglie da sempre protagonisti dell’arte contemporanea, tra cui recentemente Anselm Kiefer, di origini tedesche (Donaueschingen, 1945), ma francese d’adozione. Die Frauen – questo il titolo della mostra – è un viaggio affascinante nell’universo femminile, rievocato attraverso le figure più significative della storia e della mitologia.
L’itinerario si snoda nelle sale del palazzo e nei giardini, animandosi di presenze vive, forgiate nei materiali più diversi che caratterizzano l’opera dell’artista, campione del Neo-espressionismo tedesco e del conseguente revival pittorico. Tuttavia, a differenza dei precursori della Brücke, che esaltavano il potenziale catartico e avveniristico della pittura –da cui la metafora neitzchiana del “ponte”– Kiefer la considera principalmente uno strumento di analisi retrospettiva, che spazia dalla verità dei fatti a quella, altrettanto incrollabile, del mito.
L’esposizione corre sul doppio binario della storia e dell’immaginazione, attingendo al ricco firmamento di stelle che illuminano “l’altra metà del cielo”: Saffo, che al posto del cranio regge il peso telamonico di una pila di libri, identificandosi totalmente con la poesia; Dafne, in piena metamorfosi, con gli arti vegetali spiegati a mo’ di ali; Circe, prototipo dell’ammaliatrice, che trasforma le sue vittime in animali e le rinchiude in una gabbia. E poi Berenice, rappresentata con rigore filologico, degno della fonte callimachea: su una parete è appuntata la mitica ciocca da cui si dipanano schegge di vetro, che alludono alla costellazione eponima.
Alle regine di Francia, Kiefer dedica un doppio lavoro, al confine tra la pittura e l’installazione. Dapprima, una superficie pittorica spessa, laccata, polimaterica, su cui spiccano i nomi delle teste coronate, accanto a cornici di piombo vuote: probabilmente, una genealogia invisibile, cancellata dall’oblio e ridotta ad un vuoto elenco nominativo. Forse, un’eco dell’olocausto, macchia nera sul fondo della coscienza tedesca, orrore passato, sempre presente nel ricordo dei superstiti e nelle vite spezzate delle vittime anonime. Dunque, la storia come magistra vitae, irriducibile al puro dato cronologico, ma input per la determinazione della coscienza collettiva.
Così, le regine di Francia non sono nomi iscritti all’albo della storia nazionale, ma donne realmente vissute e testimoniate da elementi evocativi come le rose, le pere essiccate, o reliquie di altro genere. La materia continua a pulsare della loro energia e, da questo punto di vista, Kiefer ricalca le orme del suo grande maestro: Joseph Beuys. Allo stesso modo, Le donne della Rivoluzione sono immortalate in una serie di tredici letti di piombo: qui, il materiale è lavorato come fosse una carta leggera e facilmente modellabile; le increspature assomigliano alle pieghe di una stoffa – un sudario – che accoglie i corpi delle rivoluzionarie, virtualmente racchiusi nei giacigli colmi d’acqua, terra e frammenti di pietra. Sepolcri vuoti perché le defunte godono ormai di fama imperitura, o svuotati dalla memoria a breve termine del terzo millennio? E l’appello di Kiefer è proprio questo, non dimenticare.
maria egizia fiaschetti
mostra visitata il 26 gennaio 2005
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