âUn ricettore di informazioni, a meno che sia morto, non Ăš mai passivoâ. Lo scriveva Pierre LĂ©vy nel 1997 nel suo Cybercultura. Il filosofo francese, con unâanalisi rigorosa e una buona dose di ironia, metteva in guardia dalle derive pericolose di unâinterpretazione acritica del concetto di interattivitĂ . Le possibilitĂ partecipative offerte dai nuovi media, -la famigerata entrata dello spettatore nellâopera- sono state infatti spesso celebrate con enfasi e considerate a torto lâelemento centrale e caratterizzante dellâintero binomio arte-tecnologia. La cosiddetta âarte interattivaâ Ăš stata piĂč volte caricata di interpretazioni semplicistiche, tutte incentrate sulla contrapposizione tra unâarte âvecchiaâ, statica e da contemplare passivamente, e unâarte ânuovaâ, dinamica, arricchita dalla presenza attivante dello spettatore.
Se senzâaltro le poetiche basate su una concezione fluida e partecipativa dellâopera sono state importanti per la definizione di nuove tipologie di ricerca artistica, e se la sperimentazione sulle potenzialitĂ linguistiche e creative delle tecnologie digitali ha tratto enorme giovamento da questo prezioso corpus di esperienze, oggi il concetto di interazione (uomo-macchina e uomo-opera) necessita di una ridefinizione. Esauritosi il coefficente di âmeravigliaâ e di stupore per il meccanismo, e una volta sperimentate tutte le possibili declinazioni dello schema stimolo-risposta (abbiamo spinto pulsanti, azionato leve, soffiato, parlato, pedalato, camminato e corso per attivare le opere) la questione dellâinterattivitĂ tecnologica in arte appare oggi -e molta critica lo sta sottolineando- giunta ad un impasse.
Tenendo a mente questo complesso quadro storico e concettuale, la mostra Sensi Sotto Sopra, evento di apertura del Festival RomaEuropa, appare un poco anacronistica, seppur impreziosita da alcune proposte interessanti. Il concetto guida dellâesposizione, lo spiazzamento sensoriale, Ăš infatti geneticamente erede di un certo tipo di approccio, molto diffuso negli anni Ottanta e Novanta, basato sulla stimolazione e sullâalterazione di alcuni meccanismi percettivi (lo stesso approccio che ha alimentato la fanfara mediatica sulla realtĂ virtuale). Molto forte, inoltre, in numerose opere, il richiamo al mondo del cinema, specie quello degli albori. Ecco allora la reinterpretazione del tema delle ombre cinesi nellâopera di Christian Partos o i buffi e surreali teatrini ottici di Pierrick Sorrin, mentre fa leva sul ben noto meccanismo di persistenza delle immagini sulla rĂ©tina Gregory Barsamian con la sua scultura rotante The Scream.
Tra le installazioni interattive in senso stretto spiccano quella di Du Zhenjun, un tappeto in pvc che reagisce al calpestĂŹo, ed Helikopter, lo specchio dâacqua digitale di Holger Förterer. Di Studio Azzurro, unica presenza italiana della mostra, viene presentata una mortificante versione non-interattiva de Il soffio dellâangelo (altrettanto limitativa la documentazione video di un progetto complesso come BodySpin, degli austriaci Timeâs Up), mentre stupisce positivamente la presenza di SĂ©bastien NoĂ«l del gruppo britannico TroĂŻka, autore di un bizzarro congegno che interferisce, ad insaputa del proprietario, con lâapparecchio televisivo.
Centro nevralgico della mostra, e sicuramente tra le proposte migliori in assoluto, Ăš la cupola immersiva Hemisphere, realizzata da Ulf Langheinrich (tra i fondatori del gruppo Granular Synthesis) con la collaborazione del pioniere dellâarte interattiva Jeffrey Shaw. Un planetario psichedelico, da guardare sdraiati a terra su grandi cuscini, lasciandosi risucchiare dal magma di pixel in continuo movimento.
valentina tanni
mostra visitata il 29 settembre 2006
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