Il progetto, a cura di Marcello Smarrelli, si basa sulla ricerca oggettuale. Sulla progettazione di forme funzionali in rapporto all’idea di oggetto d’arte, inservibile o difficile da ricondurre ad usi comuni. Vengono coinvolti artisti dalla formazione più diversificata, non necessariamente legati al mondo del design e della progettazione industriale. Ad essi viene richiesto di progettare un oggetto che sia “investito da un’aura di sacralità che esalti il suo status di opera d’arte o di design, quasi fosse un feticcio o un idolo moderno”. Dopo averlo concepito, gli artisti dovrebbero “inventarne la funzione, creare il particolare bisogno che solo l’oggetto da (loro) prodotto potrà soddisfare”. Queste le principali indicazioni volte a configurare la relazione tra ambito visuale e ambito funzionale.
Emmanuelle Antille (Losanna, 1972), eclettica artista svizzera, parte da un oggetto trovato per poi personalizzarlo e ricrearlo nei passaggi successivi. Una piccola maraca a forma di teschio umano. Da questa sorprendente scoperta nasce l’idea per un’edizione limitata di dieci teschi musicali confezionati in una scatola nera. Ogni teschio (dieci in tutto) viene accuratamente dorato e allegato ad un cd con una canzone arrangiata a partire dal suono dell’oggetto stesso. La Antille scrive il testo della canzone dal titolo Skull shaker (che è anche il titolo del progetto) sulla musica di Christian Pahud, che realizza sull’idea della Antille una danza vodoo che nasce e svanisce col suono delle sole maracas. In occasione della mostra, la galleria di Roberto Giustini ha pubblicato un breve fascicolo con le e-mail dell’artista e del curatore, carteggio in cui si ripercorre l’evoluzione mentale dall’idea alla realizzazione.
La presentazione dell’oggetto è affiancata alla proiezione di Invisibile to the Rest. Il video è ambientato in un’inaspettata quanto plausibile
Per completare l’esposizione, due immagini fotografiche che rimandano direttamente al personaggio del video. Ancora schiene tatuate strette da lacci neri, con al centro una scritta in inglese che allude all’idea del doppio e dell’introspezione pacatamente inquieta (tradotta: tu hai il veleno io ho l’antidoto). Opera interessante quella di Emmanuelle Antille, capace di inserire dimensioni a volte stranianti, a volte acuminate, a volte silenziose in precisi contesti di irrealtà onirica, che poi vengono rivestiti da dettagli realistici. Un’opera che verte sul cortocircuito, sull’aspettativa e sullo scardinamento dei luoghi in relazione all’emotività del soggetto. Peccato che l’allestimento diluisca un po’ troppo questi spunti, non indirizzando lo spettatore verso la giusta lettura del progetto.
daniele fiacco
mostra visitata l’8 febbraio 2007
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