“Gioia? Che ridicolo!”. È questo l’esordio di Dieter Huber (Salisburgo, 1962) nel suo libro and what are your pleasures?. Niente affatto sarcastico, l’artista mette in luce il senso del ridicolo, la risata liberatoria che l’arte ci offre attraverso la sospensione momentanea del coinvolgimento emotivo. La riflessione di Huber fa parte di un suo progetto nato sull’analisi del fenomeno della gioia e della sua struttura. La percezione soggettiva che porta alla gioia tramite le emozioni è analizzata tenendo conto del contesto che ognuno di noi vive e degli oggetti che ci suscitano piacere.
Svincolato dal divertimento consumistico e dagli schemi imposti dalla cosiddetta Fun society, l’individuo che riesce a trarre piacere dalle esperienze del quotidiano e da un proprio universo interiore diventa soggetto della propria gioia e non più oggetto passivo del piacere standardizzato. Un individuo dotato di un sense of humour che gli consente di ridere, piangere e reagire emotivamente al proprio ambiente e, secondo Huber, all’arte. La distanza dalla realtà che l’arte consente, provoca l’esperienza di vivere interamente i diversi aspetti della vita – orribili o sublimi che siano – e di riuscirne a sorridere.
L’artista coglie sottilmente le contraddizioni insite nella percezione del piacere: quello che ci alletta può spaventarci o viceversa, proprio come le immagini che Huber denomina pleasure files. In mostra a Roma in un’esposizione che – seguito a quella milanese del 2000 e in collaborazione con il Forum Austriaco di Cultura – ha inaugurato anche l’apertura di un nuovo spazio espositivo nella capitale. Icone del piacere e della gioia che a volte nascondono un retroscena inquietante, ben esemplificato dall’immagine dallo splendido sorriso di donna che nasconde un dente sporgente e vampiresco (Pleasurefile #1, 2000) o la passerella sospesa sulla quale compare un grosso divieto d’accesso (Pleasurefile #18, 2001). In altri momenti assurgono a figurazioni “classiche” e seducenti di quelli che sono i codici del desiderio: una distesa di onde su cui splendono come in un miraggio i bagliori del sole (Pleasurefile #28, 2001) o uno scorcio voyeristico di lingerie femminile, scoperto tra il fluttuare degli abiti (Pleasurefile #19, 2000).
Immagini che, attraversata un’attenta rilettura digitale, vengono poi stampate sulla tela. Medium classico per eccellenza atto a supportare qui delle ricostruzioni di una realtà che dopo il primo acchito –dove sono la sensualità e la fascinazione estetica a catturare chi guarda- si adopera perché emerga l’umorismo dell’inaspettato, la sensazione di decadenza. E, in ultima analisi, la menzogna in agguato.
Tematiche antiche, quindi, che nel libro Huber corrobora con tanto di citazioni prese da scrittori e filosofi del passato. Un’esposizione che si potrebbe definire un emblema della ricerca – e della richiesta – di un nuovo equilibrio: classico-digitale.
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Dieter Huber. Pleasure files Milano, Galleria 1000Eventi
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www.dieter-huber.com
www.pleasurefiles.com
cristina del ferraro
mostra visitata il 17 gennaio 2005
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