A guardarli, ricordano gli adolescenti dei film di Larry Clark. Quelli di Kids, per intenderci. Sono semplicemente liberi gli skaters ritratti da Ed Templeton (1972, vive e lavora a Huntington Beach, vicino Los Angeles) attraversati da un’irrequietezza che brucia, da un candore che incanta, da una precoce, lacerante, istintiva consapevolezza.
Tutto questo Templeton (anche lui skater) lo racconta attraverso foto, disegni, tele dipinte, fogli di appunti: è una mole di materiale eterogeneo che poi finisce per avvolgere le pareti, come un
E’ così che l’artista stesso ha scelto di allestire il suo lavoro (ed è così che lo vediamo all’Acquario Romano, nella sua prima personale italiana): srotolando in un continuum volti, corpi, segni, parole.
A scattare fotografie ha iniziato nel 1990, durante i viaggi per le competizioni di skateboard, non ha più smesso. Complice l’interesse crescente per lo street style, è anche il arrivato il successo, dalla prima personale negli Stati Uniti (1994, adesso il suo gallerista è Aaron Rose) a quella al Palais de Tokio (ottobre 2002, a cura di Jerome Sans) con un titolo che parla da sé The essencial disturbance. Più che l’epilogo (felice) di un’avventura on the road, è l’inizio. Pare un ottimo inizio.
Se nei disegni e nei dipinti il rapporto con l’immaginario e il linguaggio dei graffiti appare immediato, nelle fotografie i riferimenti si stemperano, come se – prescindendo dai tagli casuali o
I ragazzi fotografati da Templeton fanno l’amore, si baciano, si mettono in posa (e guardano in macchina con una certa disinvoltura) o sono colti di sorpresa come in un’istantanea. Lo skateboard appare poco, quasi fosse una presenza sottintesa, che non è necessario mostrare. Non c’è nessun clamore, semplicemente un ritratto life size. Con uno sguardo limpido.
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