In un momento in cui la Chiesa sta “riflettendo” sull’esistenza del Limbo,
Odd Nerdrum (Hëlsingborg, 1944; vive a Reykjavik) sembra dare la sua risposta: il Limbo è qui, sulla terra, a metà fra il fuoco delle sue viscere e l’azzurro, solo a sprazzi terso, del cielo.
È spesso sottolineata la stranezza dell’indifferenza europea per Nerdrum rispetto alla venerazione di cui è oggetto, invece, negli Stati Uniti. Una venerazione che, infatti, trova puntuale rispondenza nelle quotazioni economiche dei suoi lavori. Una specie di guru, è definito, probabilmente per alcuni aneddoti che circolano sul suo conto. Si dice che nel suo studio indossi una lunga tunica nera (abbigliamento non inusuale per certi artisti che si ritirano dal mondo) e che, nonostante gli spazi offerti dalla sua villa, preferisca lavorare in un angusto studio dove, per avere una visione da lontano delle sue tele, utilizzi un binocolo rivoltato. Afferma che la vera arte è l’opera compiuta da Gesù Cristo e ha scelto la nuda Islanda proprio per il suo impervio e crudo paesaggio.
Indubbiamente, il suo stile di vita fa pensare a un novello asceta, le cui riflessioni trovano espressione sulle tele, spesso di grande formato. E se l’Europa è stata sempre un po’ scettica nei suoi confronti, forse è perché vede troppo puntuali i suoi riferimenti storico-artistico di cui, anzi, Nordrum ne caldeggia una pronta ripresa, soprattutto per la tradizione figurativa e per la piena padronanza formale di cui artisti del calibro di
Goya e
Rembrandt e
Caravaggio sono insigni rappresentanti.
E così, dopo un’apparizione a Spoleto al
Festival dei due Mondi nel 2003, per Nordrum si tratta della prima personale romana. In tutte le tele esposte domina una scena visionaria, dove le evanescenti figure fluttuano sospese nel nero infinito dell’universo, come perse in un cupo e sconosciuto sistema galattico. Solo le tele
Second Birth e
Five Singing Women si differenziano dagli altri lavori. Nella prima, un uomo, il cui busto fuoriesce da uno spoglio terreno, con la testa leggermente reclinata verso la spalla sinistra e i lunghi capelli scarmigliati, con le braccia dietro la schiena. Il torso è il centro della rappresentazione, un centro da cui in maniera centripeta e centrifuga la luce converge e diverge. Una luce che sembra rischiarare anche il cielo alle spalle della figura, un cielo brillante, unico rispetto alle altre tele. Davanti all’uomo, una sorta di pala col manico spezzato, che sembra esser stato lo strumento che ha liberato l’uomo dalla fossa, come i dannati medievali che, al momento del Giudizio Finale, uscivano dalle proprie tombe, richiamati dalla tonante voce dell’Eterno.
Nella seconda e inquietante tela, un canto afono sembra uscire dalle secche gole delle figure. Come i corpi di Ercolano, queste figure sembrano esser state colpite da un avvenimento improvviso e ineluttabile; senza scampo, tentano di cantare le lodi o chiedere aiuto a un possibile Salvatore. Che ha però già deciso per le loro sorti.