Difficile scegliere tra le 190 opere esposte nelle sale del Vittoriano, che raccontano l’intera carriera artistica di Paul Klee: difficile trovarne una che sintetizzi la sua poetica. Musicista –violinista virtuoso- poeta, pittore. È quella dell’arte la strada a cui Klee sceglie di dedicare la sua vita, pur mantenendo vive -e nettamente separate- le altre discipline, con cui continuò a confrontarsi costantemente.
Puntiglioso, meticoloso, fino al 1918 annotò nei suoi diari quanto gi accadeva, con la medesima costanza con cui catalogò ogni sua creazione. L’esordio è come acquafortista, tecnica particolarmente congeniale alla sua vis polemica, orientata ad ironizzare contro quell’alta borghesia colta di cui faceva parte. Gli anni giovanili li trascorre quasi in solitudine, dedito alla studio dell’arte antica e contemporanea, le cui istanze non trovano traduzione immediata nelle sue opere, ma restano come input ai quali Klee risponde con il suo linguaggio, spesso criptico, eppure vivace ed intenso.
Nel 1911 l’incontro con Auguste Macke e Wassily Kandinsky lo vede ormai pronto a confrontarsi apertamente con le avanguardie artistiche europee, e lui stesso fonda, insieme ai due nuovi amici, Il Cavaliere azzurro.
L’incontro con Delaunay sancisce l’ingresso del colore: Il colore mi possiede. Non ho più bisogno di rincorrerlo. Questo è il senso dell’ora felice: io e il colore siamo tutt’uno. Io sono pittore. In mostra, tra le altre, ricordano questo periodo Ricordo di un giardino, 1914, Con le punte marroni, 1914.
La I Guerra Mondiale non interrompe la sua intensa produzione artistica che continua a proporre composizioni tra il giocoso e l’inquietante: La colonna del cielo, 1917, Americano-Giapponese, 1918.
L’esperienza del Bauhaus (dove Klee è insegnante) ha notevoli riflessi nella sua prolifica attività artistica: le opere di questi anni, più vivacemente narrative, si confrontano con la geometria e l’architettura (Casa nuova, 1924).
Ampio spazio è dedicato all’ultima fase della sua vita, momento in cui l’artista crea con rinnovata energia, contrastando quella malattia che spesso gli impediva di lavorare. Le numerosissime opere degli anni ’39-’40 (solo nel ’39 ne realizza 1200) rivelano una maggiore libertà compositiva: il segno si dilata, la pittura, più corposa e intrisa di colore, si stende su nuovi supporti che conferiscono una maggiore matericità e vitalità all’opera (Scultura d’onde, 1939, Spegnersi, 1940). Parallelamente, raggiungerà gli stessi esiti nel disegno. Così è la serie di Eidola, 24 disegni in cui le forme -delineate da un solo tratto deciso- nascono come creature misteriose dalla mente dell’artista.
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daniela bruni
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