Una critica feroce alla nostra civiltà, quella di Mark Kostabi (Los Angeles, 1960; vive a Roma e New York), che ha però la particolarità di assumere un punto di vista sorprendente. Guardando dall’interno dello stesso contesto sociale ai guasti e alle storture che lo caratterizzano, prospettiva ben evidenziata dal corpus imponente delle 150 opere che si snodano lungo i bassi corridoi del Chiostro del Bramante. Nel suo lavoro l’emergere di tali problematiche avviene non tanto sulla base di un giudizio perentorio, ma attraverso il superamento di una soglia di sopportazione dell’individuo. Il viatico formale per questa denuncia è l’uso di un aspetto illustrativo dai colori decisi (che si ritrova anche nel bianco e nero, cui è dedicata una sala, dove la monocromia squillante sembra ottenuta da una semplice operazione di desaturazione) e della metafora “facile”, quasi pubblicitaria, dove le figurette, corpose e sensuali, sono prive di tratti somatici e dotate di una consistenza geometrica solo grazie alla costruzione della luce. L’obiettivo dichiarato, invece, è quello di trasformare le assurdità e i paradossi indotti dal sistema in energia creativa e strumento di comunicazione universale, utilizzando, a questo scopo, non un linguaggio razionale. Si rifà invece al mito Kostabi, -la guerra, l’amore, il bene e il male, ma anche l’assoluta autorità di grandi pittori del passato, che incombono nei suoi quadri con precisi ed insistenti richiami-, e sfrutta una straordinaria e funambolica visionarietà, che trova la sua controparte oggettiva nella schiera di assistenti che materialmente realizzano l’opera e che si trovano nel Kostabi world, il suo studio di New York, nel cuore del quartiere di SoHo.
Ed è proprio in virtù di questo suo modo di lavorare, la produzione in serie, dove c’è spesso il ritorno ripetuto di composizioni formali, che Kostabi vede sé stesso come parte integrante di questo gioco perverso, in cui viene chiamato progresso qualcosa che sta distruggendo il pianeta, in cui la fa da padrone il valore di mercato, e dove si possono guadagnare dei dollari semplicemente dando un titolo azzeccato ad un quadro, come avviene nel programma da lui ideato Name that painting, ironicamente ripreso in un lavoro esposto alla mostra, Paint that naming. Un obiettivo ambizioso, senza dubbio, e raggiunto inevitabilmente in modo discontinuo, scivolando a volte nel banale, ma con cui vale la pena di confrontarsi e che la mostra ha il merito di indagare davvero a 360 gradi.
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l'artista piu banale della storia ! certo e' un bel primato
Ma che critica feroce.. andiamo.. costabi è un furbone che approfitta della struttura attuale del mercato, e del vuoto intellettuale che lo sostiene per fare un pacco di soldi..
Ma che modo oltraggioso di dire! Perché mai si dovrebbe crepare d'invidia per il successo di Kostabi, che dall'Estonia ha trovato l'America a N.Y. ed ora a Roma? Questi commenti da parte d'ignoti non li capisco davvero; anche perché quando un artista ha la sua nicchia che vuoi che gliene importi degli altri e le malelingue.
Ma smettetela biechi moralisti senza denari!!!
Kostabi fa schifo! E questo è indubbio... ma per lo meno è più furbo di voi... crepate d'invidia allora... mediocri personaggini rachitici accomodati nel vostro moralistico Prodismo!!!!
E anche il "fare i soldi" come fa Costabi non è forse una attività a suo modo intellettuale. Per me questa factory di dollari è parte integrante del suo lavoro.
"biglietti: € 9,00 – Ridotto (il martedì per tutti) € 7,00"
non ne spenderei nemmeno la metà..
Delle lingue biforcute con papilli gustativi alterati e pruriginosi (he,he)