La Galleria Romberg di Roma presenta una mostra di Daniele Vezzani (Novellara, 1955) e Matteo Negri (S. Donato Milanese, 1982) a cura di Italo Bergantini e Gianluca Marziani. Le opere di Vezzani sono dodici dipinti a olio su tela; i protagonisti di questi lavori sono estremamente singolari, sia nel loro abbigliamento che nella nudità, nelle espressioni e negli atteggiamenti reciproci. Coppie di personaggi maschili e femminili, i cui sguardi non si incontrano mai, sono come bloccate in un istante preciso sul bagnasciuga di spiagge sabbiose. Queste tele, i cui protagonisti sono in atteggiamenti piuttosto statici, sprigionano un’energia erotica e una tensione che li rende estremamente accattivanti. Le figure femminili sembrano lanciare delle sfide, ostentando una determinazione e una naturalezza che in un certo senso spiazzano l’uomo e lo intimoriscono. “Mi sono divertito a costruire scene emblematiche e significative per portare ad una riflessione”, dichiara l’artista, “io non parlerei di incomunicabilità tra i sessi, ma di diversità a volte estrema e di opposti che si attraggono. Queste scene vogliono evidenziare l’impossibilità di avere l’oggetto del desiderio”. La donna sembra incarnare il concetto di natura, così perfetta e forte, padrona del proprio corpo e della propria persona, attorno alla quale si affanna l’uomo, che rimane vestito. In questo progetto la tecnica pittorica si sposa ad una narrazione quasi cinematografica, e le tele assomigliano a fotogrammi.
“Nella serie delle spiagge”, spiega ancora Vezzani, “il colore è diluito con trementina per imporre velocità e urgenza all’azione del dipingere”. La particolarità di alcuni lavori in mostra è di essere stati eseguiti sul retro grezzo della tela, su cui viene dipinta solo la figura.
Matteo Negri mette in vetrina il suo progetto Perché la pesca non è così diversa dalla caccia, presentando tre sculture in ceramica: tre mine sottomarine colorate con altrettante tonalità di smalto. Con questo titolo Negri vuole suggerire come, nell’operazione artistica, il dramma della vita sia sempre in atto, e si riconosca in oggetti differenti. Le mine, delicate opere in ceramica poste dentro teche in plexiglas, danno l’idea del reperto prezioso, o comunque a rischio, all’opposto oramai della loro origine bellica e minacciosa. Le sculture, seppure smaltate con colori vivaci e pop, simboleggiano comunque un contrasto: “il brutto e il cattivo diventa docile e affabile”, afferma l’artista.
Le tre sfere colorate: di viola, di rosso e di giallo, nascondono un congegno pericoloso al loro interno, alludendo forse allo scontro, alla battaglia della vita. L’opera rappresenta tre stadi della materia e tre livelli della scultura contemporanea, in cui alla perfezione della forma si alterna la sua decostruzione.
“La mina viola”, spiega Negri, “che è una scultura ‘classica’, perfetta nella forma e nel modellato, si frantuma in parte nella rossa e poi di seguito nella completa esplosione della gialla, diventando un oggetto diverso e quasi irriconoscibile, simile ad un fiore.”
fabrizia palomba
mostra visitata il 12 luglio 2007
Fino all'8 dicembre Roma Convention Center – La Nuvola ospita l'edizione 2025 di "Più libri più liberi", la fiera nazionale…
Da Benni Bosetto a Rirkrit Tiravanija, passando per un omaggio a Luciano Fabro: annunciate le mostre che animeranno gli spazi…
Un viaggio in quattro cortometraggi per raccontare quattro luoghi storici di Verona attraverso la calligrafia, la scultura, la musica e…
In occasione della mostra al Centro Culturale di Milano, abbiamo incontrato Nina e Lisa Rosenblum, figlie del celebre fotografo americano…
Andrea De Rosa porta in scena il Dracula nella scrittura di Fabrizio Sinisi: il Teatro Astra di Torino si tinge…
Intervista a Bettina M. Busse, curatrice della prima grande retrospettiva austriaca dedicata a Marina Abramovic: in mostra all'Albertina Museum, le…