Con altri artisti della sua generazione Gianni Dessì condivide la parsimonia delle apparizioni pubbliche; nel suo caso, dopo l’importante retrospettiva che gli ha dedicato nel 1995 la Galleria di Trento (diretta allora da Danilo Eccher, che ospita oggi al Macro Domenico Bianchi, compagno di strada di Dessì negli anni romani della Ex Pastificio Cerere), le esposizioni in sedi private si contano sulle dita di una mano. Il dato vale a sottolineare la coerenza di un percorso che conferisce all’arte italiana dell’ultimo ventennio una sfumatura preziosa, in grado di resistere al confronto con ipotesi più riconoscibili nel panorama internazionale.
La mostra propone soltanto opere inedite, disposte nelle quattro stanze di Via della Mercede e nella nuovissima vetrina di Via Margutta; quest’ultimo locale diviene per l’occasione una Camera Picta (titolo ricorrente degli ambienti allestiti da Dessì), dove un pugno di gesso policromo si distende a indicare un punto giallo sul soffitto, con atto perentorio di creazione.
Il vetro che separa dall’opera fa le veci di uno schermo invalicabile, ammonisce a non camminare nel luogo dove la pittura -pur espansa nello spazio- è negazione di ogni concetto cartesiano, quasi una sfida alle coordinate percettive dello spettatore.
Con forte continuità, nel primo ambiente di via della Mercede è piazzato un busto intitolato Faccia a faccia, curioso autoritratto scavato al centro da un rettangolo di nero profondo che irride il modellato della scultura; in generale il pezzo sembra tradurre in figura sviluppi importanti della scultura novecentesca. Subito dopo si entra nella pittura vera e propria, risultato di un’arte apparentemente trascurata, modulata su pochi scarni elementi. Così i 33 piccoli quadri che si rincorrono sulle pareti della terza stanza compongono una serie, ispirata in primo luogo dalla combinazione liberissima del colore (un giallo tenue), del vetro, del legno e della carta. I simboli tracciati dal pennello -approssimativi e riconoscibili- si installano in un’apertura di piani, bloccati solo dal pannello di vetro dipinto che sostituisce una delle finestre. Un occhio aperto sull’esterno e su un’altra funambolica architettura, la Propaganda Fidei di Francesco Borromini.
Un’altra prassi cara all’artista trova un’applicazione straordinaria in Studio giallo, dove l’esasperata accidentalità della materia trama le stesure dell’olio, identificando nell’incontro tra superficie e pittura lo spazio privilegiato del discorso figurativo.
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