Combustibile per diesel e figlia grezza dell’olio nero, la
nafta gioca con la rima della bella Dafne, fanciulla d’alloro che sfugge all’amore
di Apollo. I due incompatibili personaggi si incontrano per il titolo della
personale di
Giacinto Occhionero (Campobasso, 1975; vive a Roma) nello Studio Casagrande,
in cui paesaggi urbani e flore esotiche convivono dietro lastre di plexiglas
grazie a pigmenti, vernici industriali e solventi.
La mostra sembra scrutare la convivenza del paesaggio
toccato dall’uomo, la metropoli corrugata dal grigio delle città dietro lo smog
probabile di nafte, insieme a
Isole esoteriche fatte di atolli verdi e rocciosi, e – perché no? – magari
anche di foglie d’alloro. Non c’è nessun vincolo nei paesaggi dell’artista: riflettono
l’uno la disuguaglianza dell’altro, rivelando mondi fantastici, luminescenti e
quasi liquefatti, “
densi di atmosfere trasparenti ed evanescenti”, come scrive la curatrice
Patrizia Ferri.
L’uomo e la sua forma fisica non appaiono; la sua presenza
è suggerita solamente dagli oggetti grigio perla che compongono la prima parte
della mostra, come è il fragile carrello del
Jetcart che sorregge il motore robusto. I
tralicci e i fili d’erba dei lavori
18 e
81 discutono nella foschia ampia che l’aerografo crea,
ricordando il bitume delle tele di
Francesca Napoletano, impastate di olio blu.
La “
reverse painting” dei lavori di Occhionero costringe il fruitore a
rimanere attento, intrattenendolo nel momento di distacco che percepisce nel
non venire in diretto contatto visivo con l’opera: le lastre di plexiglas
suggeriscono infatti un riconoscimento fotografico dell’immagine, negato subito
dalla luminescenza sbiadita delle vernici letteralmente sotto vetro. La forza
del colore che brilla nelle velature o che si sgretola nei rigonfiamenti
ammassati qui svanisce, attutita dal peso della lastra, e impedisce il diretto
contatto con l’occhio. Un monito a guardare oltre, per cercare bene e scoprire
la decadenza anche della natura stessa?
Una malinconia di fondo pulsa dietro ogni lastra e gli
atolli-specchio, oltre a essere riflesso delle loro disuguaglianze, subiscono l’alternanza
dell’allestimento, giocato sui rimandi tra un paesaggio e l’altro.
Peccato per l’illuminazione: a volte fioca, a volte
incerta, fa da specchio alle opere già difficili di per sé, rimbalzando sulle
lastre che rincorrono una Dafne intrisa di Nafta.