Sarebbe lungo l’elenco se volessimo fare richiami o citazioni, se volessimo analizzare il rapporto tra artisti e natura morta, se volessimo fare la storia di uno dei soggetti tra i più amati… Allora scegliamo di concentrare l’attenzione su quello che ci si presenta entrando in questi giorni alla Galleria Il Ponte Contemporanea: immagini di camelie grandissime, secche, scure nelle tinte industriali o dipinte d’argento metallizzato.
Paul Ferman riprende così il tema della natura morta, lo rinnova e lo interpreta in chiave esistenzialista.
I suoi fiori sono traccia di quello che è stato e segno di quello che potrebbe esser dopo: le camelie come metafora della vita.
Apparentemente morte, secche, si, ma non completamente appassite sembrano aprirsi a nuovi orizzonti.
Mai ripiegate su se stesse o prive di petali caduti ormai a terra, sono protese in avanti, in cerca di altro, di nuova vita.
E’ come se il fotografo, con le sue immagini grandi, a riproporre quello che ha visto il suo occhio, piuttosto che il suo obiettivo, ci mostrasse una transizione, il passaggio da uno stadio all’altro, dalla morte a forse futura vita.
A completare il racconto è lo scorrere dei versi che – quasi ad accompagnare questo passaggio – fa da sfondo ad alcune fotografie: sono parole tratte da varie fonti, dal Dizionario della lingua Inglese da Sulla Fotografia di Susan Sontang, e che accentuano proprio il senso di questo movimento.
Con questa mostra Paul Ferman prosegue la sua ricerca sul tema degli abusi subiti dalla natura ed inevitabilmente sul tema della vita e della sua transitorietà. La morte però, non c’è presentata come ineluttabile punto d’arrivo, egli ci mostra come forse possa esserci dell’altro a cui volgersi o aspirare.
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