È un linguaggio poliedrico quello
di
Cerith Wyn Evans (Llanelli, 1958; vive a Londra), delineato nel corso di una carriera
ad ampio raggio. Un’esperienza nel cinema fino agli anni ’90, che sicuramente
ha influenzato il modo di affrontare la sua odierna espressione artistica, le
sue opere focalizzate sul linguaggio, sulla comunicazione e sulla percezione.
Una linea di ricerca che prosegue
con la personale che la galleria Lorcan O’Neill gli dedica.
New Works si compone di lavori fatti su
carta, di ristampe su lastre d’argento che mostrano immagini erotiche tratte da
alcune riviste giapponesi degli anni ’70, vari e spiazzanti giochi di specchi e
un’insegna luminosa di media grandezza, che unisce la ricerca concettuale con
quella più formale, legata all’uso dei neon.
Celebre il suo segnale luminoso
Exit al rovescio e altrettanto noti i
suoi “
firework”
realizzati proprio con fuochi d’artificio;
inoltre, l’uso di sculture luminose
gli è risultato congeniale fin dai suoi primi lampadari, che leggevano i testi
di filosofi e poeti seguendo con la luce il codice Morse.
L’effetto scenico ha sicuramente
il suo peso nei lavori dall’artista gallese, ma ciò che ha maggior rilevanza è
l’essenza della comunicazione su cui, da anni ormai, si sofferma. Con un alfabeto
ridotto al minimo. La sua ricerca pare esplorare, infatti, la fase primordiale
del linguaggio, le sue basi fondanti, gli input da cui tutto prende forma: la
comunicazione verbale e non verbale.
New Works espone tale processo e lo fa in
maniera esaustiva, forse anche troppo. L’esposizione vuole abbracciare troppo
ampiamente un fenomeno molto vasto e complesso, incorrendo nell’errore di
esporre scampoli fugaci del tutto.
All’insegna
Soffro per voi, ma
come fate? si
aggiungono i disegni su carta, sui quali sono state incollate meticolosamente
alcune lettere dell’alfabeto, che sottolineano l’attenzione di Evans non solo
per il campo linguistico, ma per quello ancor più specifico della semiologia.
Di rilevante interesse risulta anche il processo di riproduzione su lastre
d’argento, che mostra le succitate immagini erotiche tratte da magazine
nipponici.
Le teorie di Benjamin sulla
riproducibilità di massa risuonano fragorose in questi lavori, ma probabilmente
l’artista britannico ha voluto andare oltre, dando rilevanza anche ai giochi di
luci e ombre che s’innescano sulla lastra d’argento. Scegliendo inoltre una
tematica a sfondo sessuale che si annulla nella resa globale dell’opera, ma che
funge da catalizzatore dell’attenzione.